Adrien Candiard - Boato
Nel libro-intervista con Peter Seewald, Luce del mondo, Benedetto XVI intervenne sugli aspetti apocalittici della nostra epoca e anche sul ritorno di Gesù sulla terra. Disse ad esempio che «le cose ultime non sono un miraggio tipo Fata Morgana o utopie in qualche modo inventate ma che colgono esattamente la realtà. Dobbiamo sempre anche tenere presente che Egli con invincibile certezza ci ha detto: io tornerò. Questa parola sta sopra tutto. Per questo originariamente la Messa veniva celebrata rivolti verso oriente, rivolti al ritorno del Signore simboleggiato dal sole che sorge». E a proposito dell’attualità del libro di san Giovanni, Ratzinger precisò che «l’Apocalisse non fornisce alcuno schema in ordine a un calcolo dei tempi. Noi non sappiamo stabilire quando il mondo finirà. Cristo stesso dice che nessuno lo sa, nemmeno il Figlio. Dobbiamo però rimanere per così dire sempre presso la sua venuta, e soprattutto essere certi che, nelle pene, Egli è vicino». Il discorso apocalittico è tornato di moda negli ultimi tempi, sia in occasione del passaggio di millennio sia soprattutto negli anni recenti in seguito alla pandemia, alla guerra, ai disastri climatici e ai terremoti. Tanto che persino tra i cristiani pare venir meno la fiducia e il famoso grido «Non abbiate paura!» di Giovanni Paolo II sembra non bastare più.
In questo senso è davvero illuminante la lettura dell’ultimo saggio di Adrien Candiard, Qualche parola prima dell’apocalisse. Leggere il Vangelo in tempi di crisi edito dalla Libreria Editrice Vaticana (pagine 100, euro 11), che domani sarà presentato a Milano, alle ore 21, nel convento di Santa Maria delle Grazie, alla presenza dell’autore. Domenicano studioso di islam, Candiard risiede al Cairo ed ha scritto vari volumi tradotti in più lingue, tanto da imporsi non solo come uno degli autori di spiritualità più letti in Europa ma come uno dei pensatori cristiani più lungimiranti. Si pensi a libri come Pierre e Mohamed, dedicato a monsignor Claverie e al suo autista musulmano uccisi in un attentato a Orano nel 1996, e Tolleranza? Meglio il dialogo. Ora Candiard prende in considerazione i brani dei Vangeli della cosiddetta “piccola apocalisse”, contenuta in Marco 13 e Matteo 24. Gesù fa uso di parole severe e preannuncia la persecuzione dei cristiani, parla di tribolazione e dell’abominio della devastazione alla fine dei tempi, lasciando i discepoli esterrefatti; poi, in due piccole parabole, spiega che nessuno conosce quando avverranno questi eventi e invita chi lo ascolta a vigilare. Collegandosi alle tragedie e alle ferite del mondo contemporaneo, così gravi che «perfino la parola crisi appare troppo debole», il domenicano cerca di capire come questi ammonimenti di Gesù possono aiutarci a interpretarle.
Sapendo bene peraltro come tante letture del passato, che vedevano la mano di Dio dietro le sciagure e le calamità che colpiscono l’umanità, sono da ritenersi ingiuste e superate. «La pandemia del Covid 19 – si legge nel volume – ha mostrato con ogni evidenza che abbiamo cambiato epoca: non ci si è molto preoccupati, nella Chiesa cattolica, di vedervi la punizione divina per gli sbandamenti del nostro tempo. Una spiegazione di un simile tenore sarebbe anzi apparsa ai cristiani indegna di Dio e assai distante dal Vangelo». E ancora: «Naturalmente, molti hanno pregato per la guarigione di un congiunto e anche per la fine dell’epidemia, ma nessuno si è azzardato, nel corso dei dibattiti sulle responsabilità del pangolino o dei laboratori cinesi, a proporre il buon Dio per allungare la lista dei sospetti. Quando la biologia fa il suo lavoro, la teologia è inutile». Un fenomeno analogo era accaduto nel ‘700 dopo il terremoto di Lisbona, quando la spiegazione della catastrofe che aveva prevalso era di carattere scientifico e non più teologico. Semmai il secolo dell’illuminismo aveva trasformato l’immagine di Dio, che da giudice terribile che infliggeva castighi all’umanità era salito sul banco degli accusati: come poteva esistere un Dio buono e onnipotente se permetteva tali disastri? I mali del mondo conducono da allora più che altro all’ateismo, alla rivolta verso Dio - si pensi al romanzo La peste di Camus. Lo sforzo di Candiard, e l’invito ai credenti, è allora quello di non dimenticare il discorso apocalittico di Gesù. Non per applicare scontate letture ai drammi della vicenda umana, ma per saperla leggere in profondità.
Non dobbiamo cercare in quelle parole un calendario della fine dei tempi, ma la possibilità di «scoprirvi il senso della storia umana, ovvero il suo significato e al contempo la direzione che essa ha preso. Cristo non ci invita a individuare un conflitto preciso, un sisma determinato, un concreto falso profeta, che egli avrebbe annunciato, in modo che noi possiamo denunciarli come gli avvenimenti o i personaggi della fine del mondo. Egli ci invita piuttosto a comprendere il significato di questi elementi tragici che formano la trama della nostra storia». La realtà del male è una presenza ineliminabile che soggiace agli avvenimenti del mondo. Certo, quando si parla di male occorre saper distinguere: c’è un male che viene dalla natura, è quello che viene patito ed è perlopiù innocente, e c’è il male inflitto dall’uomo stesso, che è frutto della nostra iniquità. Per questo Gesù ci chiede di vegliare. E di operare contro il male. «La storia – scrive ancora Candiard – non avanza al ritmo di un processo lento ma regolare, di un miglioramento continuo: procede, al contrario, passando per crisi successive. Queste crisi però la conducono alla vittoria finale del progetto di Dio, del suo disegno presente fin dall’atto creatore, del suo amore gratuito per noi». Il discorso apocalittico che sottende la presenza inquietante del male non è perciò un discorso cupo e tenebroso, ma aperto alla speranza, nella consapevolezza che il regno di Dio non è un miraggio lontano, «una semplice evocazione poetica, vagamente spirituale, ma una realtà operante, viva, che guida la nostra storia umana e la vita dell’universo».