L’ingegner Niccolò Campriani ha un altro sogno da realizzare, dopo l’oro conquistato nella carabina da tre posizioni 50 metri: costruire il suo fucile. Un compito non facile, ma chi conosce bene Campriani, la sua volontà, la meticolosità con cui affronta ogni passaggio della sua vita sa che, alla fine, il vincitore sarà lui. Lunedì scorso l’argento nella carabina da 10 metri, ieri l’oro nella specialità più impegnativa. È il giusto riconoscimento per le oltre 4 ore quotidiane di allenamento, per le 50 mila munizioni calibro 22 che ogni anno centrano un bersaglio di 5 millimetri, l’equivalente di una rondellina che si prenderebbe in mano con difficoltà. «Il segreto di questa medaglia è come ci convivi con lo stress, ti senti esausto, ma sei ancora capace di tirare fuori qualcosa. Il mio sport è un viaggio dentro se stessi. Grazie quindi anche al mio psicologo, questa medaglia è di tante persone, ora vorrei solo stare un po’ tranquillo, ma non credo sarà possibile». Niccolò quando ha mancato il bersaglio lo ha fatto di millimetri. Spara con una carabina che pesa 6,5 kg, è imbragato con una tuta che lo rende simile a un marziano, e impacciato. Prima prova a terra, sdraiato, la posizione che non gradisce, ma il “cecchino” sa che non può fallire, mantiene il vantaggio sul coreano Kim e sull’americano Emmons. Poi, spara appoggiato su un ginocchio, con il peso del corpo e della carabina che infastidiscono. E non è preciso: fa due nove. Si alza, allenta la tuta, alleggerisce la tensione. Ritorna a sparare e colleziona una serie di 10. Ha già in tasca un traguardo: il record olimpico in qualificazione con 1.180 punti, il precedente era del tedesco Debevec con 1170 punti. Arriva in finale con 8 punti di vantaggio sull’americano Emmons. Dieci tiri per l’oro, non sempre micidiali, ma sufficienti per conquistare la medaglia. Appena il tempo di riprendersi dall’incredulità per l’impresa compiuta che il pensiero di Campriani vola ai genitori («Non vedo l’ora di riabbracciarli») e a Petra, la sua fidanzata: «È stata determinante nel portarmi a quest’oro». Gianni Petrucci è raggiante e si complimenta: «Questa è l’Italia che amo, quella che vince, che fa squillare il suo inno». Il presidente del Coni ha, anche, qualcosa da dire sulla scuola, determinante in altre nazioni nel preparare i futuri campioni: «Purtroppo lo sport è out nel nostro sistema scolastico». Ha fallito il piattello d’oro. «Ho sbagliato, forse ho colpito troppo basso, ci può stare». Massimo Fabbrizi, medaglia d’argento nel trap, è contento lo stesso. Gli ultimi 4 piattelli centrati con millimetrica precisione nello spareggio con il croato Cernogoraz non bastano a portarlo in cima al podio. Stretto nella bandiera italiana parla di un’avventura meravigliosa: «Essere qui per il mio Paese è un grande onore. Sono un carabiniere, per questo tricolore sarei pronto a dare la vita». Gli manca l’Italia. Essere lontano da casa, dalle sue Marche, gli pesa. La sua avventura a Londra è iniziata con 39 di febbre. Quasi due settimane di antibiotici, poi, il battesimo con la pedana. «Quando sono entrato per la prima volta mi è mancato il fiato, il cuore mi scoppiava mi sembrava di non capire più nulla». Faccia pulita, esterna tutta la sua felicità e riesce, persino, a rammaricarsi per l’americano Michael Diamond che aveva concluso la fase eliminatoria con 125 su 125 e non è salito sul podio. I piattelli finali? «Non mi ero neppure accorto del risultato, pensavo di dover spareggiare per il bronzo. Senza la febbre, forse, avrei potuto fare qualcosa di più, ma va bene così, ho centrato un grande obiettivo».