venerdì 7 maggio 2010
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Se Zdenek Zeman è stato il primo a denunciare le «farmacie negli spogliatoi», l’ex capitano del Siena Stefano Argilli, il 30 aprile 2006, con un’intervista ad Avvenire, apriva il sipario sullo scandalo di Calciopoli. Ventiquattro ore prima della sfida Siena-Juventus, Argilli, che all’epoca giocava nel Livorno, aveva già fatto la cronaca di una sconfitta annunciata e denunciato: «Moggi fa il mercato del Siena e non solo. Lo sanno tutti che la sua Gea ha le mani in pasta un po’ ovunque. Del resto al calcio italiano evidentemente fa comodo un accentratore…». Parole che nell’omertoso mondo del pallone provocarono un boato mediatico inaspettato, specie quando dopo soli 8 minuti, la Juventus a Siena era già sul definitivo 0-3. Quattro anni dopo, siamo andati a “scovare” il 37enne Argilli che alla domenica va ancora in campo con i dilettanti del Monteriggioni.Dopo quelle sue dichiarazioni per lei e la sua famiglia furono giorni di “tempesta”...«Una parte della tifoseria senese si infuriò dandomi del “traditore”. Ma poi tutti hanno capito e apprezzato il fatto che con quelle tre-quattro frasi, dette al momento giusto, avevo contribuito a scoperchiare un pentolone che bolliva fastidiosamente da troppo tempo».Pochi giorni dopo, fu tra i primi ad essere convocato dalla Procura di Roma.«Al giudice Palamara non feci che confermare il testo dell’intervista, raccontando la mia vicenda personale di giocatore che aveva militato per 9 anni nel Siena, diventandone il capitano, con tanto di ritiro della maglia n° 8 . Eppure, misteriosamente, proprio dopo l’ultima stagione, la migliore, venni ceduto...».Cose che ci stanno nel calcio, ma non sarà stato mica per “ripicca” che fece quella sparata?«Qualcuno l’ha pensato che avessi parlato da “ex ferito”. Il dispiacere per il voltafaccia di certi dirigenti del Siena l’avevo provato, ma il mio fu uno sfogo dettato soltanto dai miei princìpi di lealtà. Ho provato orgoglio per essermi spinto fin dove, purtroppo, molti miei colleghi non sono mai riusciti, non avendo evidentemente la forza di parlare liberamente».Conferma dunque che il mondo del calcio è il più omertoso che esista?«Posso solo dire che quello che ho fatto è rimasto un caso isolato. Al Livorno, dai compagni e da tutta la società venni apprezzato e il mio fu giudicato un atto di “grande coraggio”. Molti ragazzi di vent’anni, posso capire che spesso questo coraggio non ce l’hanno, temono che con una frase di troppo, possono compromettere sul nascere un’intera carriera».Lei dice “temono” e non “temevano”, siamo ancora in piena era Calciopoli?«Mi auguro di no, anche perché quel sistema perverso che ruotava intorno alla Gea mi pare si sia disgregato e ogni singolo componente è andato per la sua strada…».Ma era proprio la Gea la “madre” di tutti i mali del nostro calcio?«La Gea è stato assodato che fosse il centro di potere nettamente più forte, quello che regolava le sorti delle società medio-piccole, arrivando praticamente a controllare tutto il sistema. Poi è indubbio che tanti volevano essere come Moggi e hanno anche provato ad ottenere i suoi stessi risultati, ma non avevano quelle conoscenze e quel potere così radicato che lui era riuscito a consolidare nel tempo, grazie ai mille appoggi».Da “Moggiopoli” si è passati ad “Arbitropoli”: gli arbitri hanno condizionato davvero i campionati?«La sudditanza psicologica degli arbitri io l’ho avvertita tante volte in campo. Oggi, sento ancora dire da colleghi che sono passati da una grande a una piccola società, che si rendono conto dell’incredibile disparità di trattamento degli arbitraggi...».A fine stagione Argilli smetterà di giocare e proverà a fare il tecnico, ma se una nuova Gea dovesse bussare alla sua porta e dirgli: se vieni con noi allenerai in Serie A, cosa gli risponderebbe?«Un secco no, perché sono una persona libera, prima che un uomo di calcio. E a tutti i colleghi, specie a quelli più giovani, dico di vivere questa professione in maniera trasparente e che non c’è Gea che possa comprare la loro libertà...».
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