Basta poco per innamorarsi, talvolta basta una promessa di felicità. Siamo tifosi - noi della nazionale azzurra - in astinenza di gioie da troppo tempo. Il tragicomico fallimento della gestione Ventura e la mancata qualificazione al Mondiale sono ancora lì a ricordarci chi eravamo, soltanto un attimo fa. Ma il calcio è materia che si rinnova in continuazione, si alimenta di entusiasmi, vive di momenti. Brindiamo dunque cautamente alla Giovane Italia di Roberto Mancini, capace nel giro di due sole partite non solo di vincere contro Finlandia (2-0) e Lichtenstein (6-0) e di cominciare nel migliore dei modi il cammino verso Euro 2020, ma soprattutto di riconquistare un popolo deluso, rassegnato, mortificato.
Niente illusioni, siamo all’inizio, tra noi e gli orizzonti di gloria c’è ancora molta nebbia, abbiamo battuto una squadra modesta (Finlandia) e un’altra non presentabile a certi livelli (Lichtenstein: basti dire che abbiamo tirato in porta 41 volte, praticamente un tiro ogni due minuti o poco più)
Eppure (l’Italia) si muove. I risultati positivi, la confortante accoglienza del pubblico a Udine e Parma, un’idea di gioco propositiva (il possesso palla, il movimento continuo), una nuova generazione che cerca la sua strada: la nazionale di Mancini sta nascendo sotto buoni auspici.
E’ un’Italia giovane, inevitabilmente fresca, ancora acerba ma già sufficientemente sfrontata. Una squadra che piace, per quello che è oggi e per quello che può diventare, in un domani nemmeno troppo lontano. E’ l’Italia di Moise Kean, il primo Duemila a debuttare in maglia azzurra, il «crack» capace di segnare alla sua prima apparizione (e di ripetersi alla seconda), l’italiano figlio di genitori ivoriani, nato a Vercelli, cresciuto ad Asti, primi calci all’oratorio don Bosco, il ragazzo che si presta più o meno volentieri come simbolo di un’integrazione che se è concreta nello sport, lo è molto meno nella società civile. Lo hanno già battezzato il nuovo Balotelli (ma può suonare come una minaccia), e a questo punto anche per SuperMario potrebbe esserci una possibilità.
E’ l’Italia del grande vecchio, quel Fabio Quagliarella che è tornato a segnare in maglia azzurra dopo nove anni (l’ultimo gol lo fece nello sciagurato Mondiale sudafricano del 2010) e che con i suoi 36 anni e 54 giorni è diventato il giocatore azzurro più anziano ad aver timbrato in nazionale. E’ l’Italia che confida nel talento degli Under 23 Zaniolo e Chiesa, Barella e Bernardeschi, Sensi e Mancini.
Al ct azzurro il coraggio non manca. Dall’inizio della sua avventura ha fatto esordire 18 giocatori, sono segnali di una rivoluzione in atto. Ora il coraggio dobbiamo averlo noi tifosi, nel credere in una squadra che avrà - se lo avrà - il suo territorio di caccia nel futuro.