Due squadre in semifinale, sparse nel tabellone, una di qua e una di là, con la possibilità di una finale tutta inglese: nella Champions League che stasera (ore 21) vivrà l’andata della sfida fra Tottenham Hotspur e Ajax e domani quella tra Barcellona e Liverpool (ore 21 diretta anche su Rai 1), le squadre di Premier pregustano il possibile golpe europeo ai danni della Liga, le cui squadre (quattro volte il Real, una il Barça) hanno trionfato nelle ultime cinque edizioni senza soluzione di continuità. Un golpe che sarebbe ancora più simbolico considerando che la finale si disputerà proprio in Spagna, al Wanda Metropolitano di Madrid. Gerarchie che mutano, è una questione ciclica e, se è vero la casualità (leggasi: sorteggio) ha un suo peso, è vero anche che non si può guardare alle semifinali di Champions come frutto di un caso, a livello di movimento. Il calcio inglese ha portato almeno due club fra le migliori quattro a dieci anni di distanza dall’ultima volta: non accadeva dal quando le semifinaliste furono addirittura tre, vale a dire Manchester United, Arsenal e Chelsea. Era il 2009, ma vinse il Barcellona di Guardiola, con un Messi nemmeno ventiduenne ma decisivo nella finale di Roma.
L’ultima Champions alzata da una inglese, invece, è del 2012, tre anni più tardi, ma nella stagione e nella maniera più inaspettata, perché il successo ai rigori del Chelsea di Di Matteo - che aveva sostituito Villas Boas - sul Bayern Monaco era stato anticipato da una semifinale rocambolesca di nuovo contro i catalani, sempre loro, e il loro numero 10 che calciò sulla traversa un rigore e stampò un’altra conclusione a botta sicura sul palo. Messi che toglie, Messi che dà. Intanto, però, in semifinale ci sono un Liverpool che conferma la sua statura internazionale e cerca la rivincita e gli Spurs che, sebbene in maniera sorprendente, non sono lì per caso, avendo eliminato il City ai quarti. L’Ajax è la quarta incomoda, outsider che ha già eliminato i detentori del titolo (il Real Madrid) e del giocatore più forte del mondo (la Juventus), e la presenza degli olandesi mette la pietra tombale, una volta per tutte, alla favola secondo cui alcuni campionanti non sarebbero allenanti in prospettiva europea. Sono invece le squadre (e il momento in cui si trovano) a fare la differenza quando conta, mentre a livello di movimento ha senso ragionare sull’approccio all’Europa e sulla quantità di squadre potenzialmente attrezzate per arrivare a giocarsi il trofeo.
In questo senso, e soprattutto dopo la riforma che ha riportato quattro squadre direttamente ai gironi per Premier, Serie A, Liga e Bundesliga, fa specie non trovare un club tedesco in semifinale. Se dal 2010 al 2016 si è sempre vista una tedesca fra le prime quattro (nel 2011 fu Lo Schalkhe, e nel 2013 la finale fu un derby fra Bayern e Borussia Dortmund del 2013), nelle ultime tre stagioni i bavaresi si sono qualificati una sola volta. Il calcio tedesco è comunque decisamente davanti a quello italiano (104,5 punti contro 88,5, e può ancora migliorare) nonostante entrambe le federazioni avessero in lizza 7 club nelle coppe. Questo perché c’è da tenere conto anche dell’Europa League dove, dei quattro club presenti nelle semifinali, la metà sono inglesi, uno spagnolo e l’altro, appunto, tedesco. Ed è proprio il secondo torneo continentale a palesare l’insostenibile atteggiamento di sufficienza del calcio italiano nei confronti di ciò che non è Champions.
Bisogna risalire al 1999 (quando si chiamava ancora Coppa Uefa) per ritrovare una finalista nostrana, mentre dal 2015 una rappresentante della Serie A non arriva in semifinale. Allora furono due: Napoli e Fiorentina, messe ko da Dnipro e Siviglia, mentre un anno prima era stata la Juventus di Conte a sacrificare un possibile trionfo europeo - la finale si sarebbe svolta peraltro a Torino - sull’altare del record di punti in un campionato già stravinto. Da allora più nulla, si collezionano magre figure anche contro avversari tutt’altro che irresistibili e l’Europa League viene vista quasi come un intoppo, quando invece la dimensione internazionale si ottiene anche così, in un circolo virtuoso che aumenta sia il ranking individuale dei club che quello dei campionati di appartenenza, ai quali vengono così assegnati più posti. Altrove, infatti, si ragiona in un altro modo: non è un caso se le ultime due trionfatrici sono state l’Atletico Madrid di Simeone e il Manchester United di Mourinho.