mercoledì 9 ottobre 2024
Federico Buffa ha inventato il genere della narrazione sportiva dal 14 ottobre riparte con il tour dello spettacolo tratto dal libro scritto con Fabrizio Gabrielli "La milonga del fútbol"
Il giornalista e scrittore Federico Buffa porta in scena "La milonga del fùtbol", titolo dell'omonimo libro edito da Rizzoli

Il giornalista e scrittore Federico Buffa porta in scena "La milonga del fùtbol", titolo dell'omonimo libro edito da Rizzoli

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Mistero Buffa: tutto ciò che legge e narra alle platee degli amanti delle storie di cuoio, di ring e della retina del basket, affascina sempre, e diventa un grande momento drammaturgico e di letteratura sportiva condiviso. Federico Buffa, 65 anni e non sentirli, oltre a non mostrarli, è il miglior aedo “teleteatrale” dello sport. Cantando il miglior campionario, inteso come storie di campioni leggendari, ha ideato un genere, quello di far rivivere sul palco o sullo schermo i miti di Olimpia. Ultimi in lista di narrazione, i miti del calcio argentino che con Fabrizio Gabrielli, «un 35enne dalla scrittura rara”», sottolinea mastro Buffa, ha raccolto in un lungo saggio: La milonga del fútbol. Un secolo di calcio argentino (Rizzoli). Titolo anche dello spettacolo teatrale che a grande richiesta il prossimo 14 ottobre ripartirà con il tour da Torino.Un omaggio al fulbo, dopo un viaggio che ha fatto in una terra che era e rimane forse la vera valle dell’eden del calcio.
«Senza arrivare in un qualsiasi barrio di Buenos Aires, in quel triangolo d’oro che comprende Cordoba, Rosario e Santa Fè, è incredibile la quantità di talenti che sono nati e che continuano a sbocciare anche ai nostri giorni. Ogni 25 anni in Argentina nasce il calciatore più forte del mondo: Di Stefano, Maradona, Messi. Lasciando fuori categoria il genio di Diego Armando Maradona, che con Piazzolla e Gardel, rappresenta la trimurti, in Argentina, dove agli inizi del ‘900 un terzo della popolazione era italiana, il calciatore è considerato alla stregua degli artisti. Gli argentini non direbbero mai come da noi, “quello lì è uno che dà quattro calci ad un pallone”, perché appartenere alla storia e alla tradizione di un club vuol dire far parte di una élite di chi sa “pensare con i piedi”, come direbbe il grande scrittore Osvaldo Soriano».
Sulla copertina de La milonga del fútbol si legge: «Gli inglesi hanno inventato il calcio, gli argentini hanno fatto qualcosa di più hanno inventato l’amore per il calcio».
«È la verità. Un esempio per tutti: quando un giorno, speriamo il più lontano possibile, papa Bergoglio non ci sarà più, il San Lorenzo di cui il Santo Padre è tifosissimo fin da bambino, ha già promesso che gli dedicherà il nuovo stadio del Boedo. Stadio che è stato ricostruito nello stesso luogo in cui sorgeva il Vejo Gasometro. Al progetto hanno partecipato con una sottoscrizione popolare tutti i tifosi. Anche i più insospettabili, come l’attore Viggo Mortensen che in un film ha messo apposta l’adesivo del San Lorenzo sulla sua auto . E questo ci fa capire l’immenso valore evocativo del calcio in Argentina. Quelli del Carrefour hanno rinunciato a un pezzo di terreno per far sì che il vecchio stadio del San Lorenzo sorgesse lì, in quel punto preciso. Le commesse del supermercato raccontano che i vecchi tifosi dei “Cuervos” come Papa Francesco, quando andavano a fare la spesa si mettevano a simulare i gol storici tra gli scaffali, dove giuravano di sapere che proprio lì, un tempo c’erano le porte del Vejo Gasometro».
Storie fantastiche che si mescolano a leggende di calciatori leggendari, fuoriclasse assoluti, ma anche geni incompresi.
«A quest’ultima categoria, la più affascinante da narrare, rientra Tomás Carlovich detto “El Trinche”. Sono andato a cercarlo nella sua città, lui è un altro grande “artista” di Rosario come lo scrittore Roberto Fontanarossa e altri illustri rosarini come Che Guevara, “El Loco”, mister Marcelo Bielsa e Leo Messi. Ma “El Trinche” è qualcosa che sopravvive a tutto, perché già in vita era un mistero. Nessuno lo conosceva davvero, tranne Maradona che lo definì “il mancino più forte che sia esistito”. I due si incontrarono nonostante qualcuno non voleva far avvicinare “El Trinche” a El Diego: lo scacciarono dandogli del barbone. Ma Maradona lo riconobbe e andò ad abbracciarlo. Una scena da brividi. Il giorno dopo l’uscita dell’intervista che raccontava del loro incontro, dei ragazzacci rubarono la bici a Carlovich che per difendersi dall’aggressione cadde e morì… Questa non è una semplice storia di calcio, qui c’è tutto il “realismo magico” della società e della cultura argentina».
Un racconto degno di quello che Pier Paolo Pasolini definiva il “calcio di poesia”.
«Il “calcio di poesia” è finito da un pezzo. Il calcio contemporaneo è privo di romanticismo, ragiona solo in termini economici. I grandi gruppi finanziari sono interessati solo al business che genera l’industria del pallone. La Fifa sta già dicendo che non ha i soldi per organizzare il prossimo Mondiale per club: chiede 800 milioni di euro e non ha la copertura delle televisioni. Dinanzi a questi argomenti, le storie romantiche, i miti, le bandiere, diventano un problema, un peso insostenibile per i manager del calcio. In Argentina a tutto questo rimediano con quell’amore per il fútbol che garantisce ancora rispetto e dignità alla memoria, alla storia di quegli artisti del fulbo».
A difendere quel patrimonio che è la memoria del calcio italiano c’hanno provato scrittori e trasmissioni televisive.
«Anche noi abbiamo avuto dei grandi scrittori di calcio e di sport come Gianni Brera, Giovanni Arpino, Gianni Clerici... Ma a differenza di quelli argentini e sudamericani, i nostri hanno subito l’umiliazione della critica feroce appena hanno provato ad uscire dal loro campo narrativo. Umberto Eco fece a pezzi Brera, dandogli del “Gadda prestato al popolo”. Clerici passava solo “per quello del tennis”… In tv trasmissioni come Sfide di Simona Ercolani e Lo sciagurato Egidio di Giorgio Porrà hanno tracciato un solco in quella che va considerata la vera “cultura sportiva” che purtroppo viene soppiantata dalla fame di attualità, dal dibattito ossessivo per l’evento settimanale, per la partita successiva con i suoi dati statistici. Questa ormai è una logica dominante e quanto mai imbattibile»
La “cultura sportiva” lei ha detto che andrebbe introdotta nelle scuole.
«È una sfida che ho lanciato da tempo, parlare della storia dello sport in classe. Ma approfondire in un tempo di superficialità indotta non è una sfida semplice e non è neppure colpa dei ragazzi se sono cresciuti conoscendo solo l’universo digitale e nessuno gli ha insegnato il valore del racconto orale, della narrazione in generale, tanto meno quella sportiva che per loro si riduce ai pochi minuti degli highlights delle partite. Però a teatro è ancora bello vedere seduti in platea giovani di 25-30 anni che invece vanno alla ricerca della nostra narrazione, che si appassionano alle storie de La milonga del fútbol e le conservano nella loro memoria che non è quella dell’hard disk ma per fortuna è fatta di materia viva, di sentimenti ed emozioni da calcio, questo sì, di poesia».
Ne La Milonga del fútbol non compare Leo Messi, forse perché il confronto letterario con Maradona potrebbe essere impari tipo quello tra Federer e Sinner?
«Messi non lo abbiamo inserito perché non è un “artista del ‘900” e comunque certo su un piano narrativo non esiste confronto con Maradona. Raccontare Sinner anche tra 15-20 anni quando non giocherà più sarà quasi impossibile, perché già adesso conosciamo da Youtube le partite di quando era un adolescente. Il giorno che Sinner appenderà la racchetta avremo a disposizione migliaia di pezzi e video che non lo renderanno letterariamente affascinante quanto il Federer di David Foster Wallace o la biografia di Agassi, il quale ha avuto la fortuna che quel libro è stato scritto con un premio Pulitzer come J.R. Moeringer».
Dopo aver scandagliato gran parte dello scibile sportivo c’è qualche personaggio che le piacerebbe portare in scena come un “campione alternativo”?
«Sì, ce n’è uno che studio da tempo e che trovo straordinario: Stewart Brand, È l’uomo che ha ispirato tutto il percorso, non solo imprenditoriale, di Steve Jobs il quale ha fatto sua la celebre frase che è di Brand: “Stay hungry, stay foolish”. Questo genio di Brand è il più grande visionario vivente, uno che già cinquant’anni fa nel suo libro Two Cybernetic Frontiers aveva profetizzato praticamente tutta la nostra società contemporanea. A 86 anni vive con sua moglie tra la casa sulla collina sopra a San Francisco e una barca dove ho provato a recapitargli un mio messaggio in cui gli scrivo che vorrei raccontare la sua storia in teatro. Spero tanto che un giorno di questi Brand mi risponda...».

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