«Lassù in cielo, avevano deciso di fare una grande squadra e allora hanno pensato di chiamare il mio Bovo...». Il giorno dell’addio a suo marito, il 38enne campione del volley azzurro Vigor Bovolenta, Federica Lisi, si consolava così, invitando tutti a non piangere, «perché a Vigor piaceva ridere e ha sempre preso la vita con gioia». Un anno dopo quella tragica morte sul campo (solo gli eroi muoiono così) di Macerata - era sabato 24 marzo - , Federica si allena quotidianamente al sorriso e lo fa assieme ai «cinque gioielli che mi ha lasciato Bovo». Sono i cuccioli di casa Bovolenta: Alessandro 9 anni, Arianna 5, le gemelline Aurora e Angelica di 2 e poi c’è Andrea che ha appena 5 mesi. Tutti nomi che iniziano con la lettera “A”. «Un gioco, come nella mia famiglia in cui comanda la“F” di Federica e quella dei miei fratelli Fabrizio, Fabio e Francesco. Però quella “A” per Bovo aveva un significato particolare: voleva dire poter chiamare ancora ogni giorno suo fratello Antonio...». Il fratello amatissimo, perso per sempre quando Vigor aveva appena 16 anni e dalla sua Contarina (Rovigo) era sbarcato nel “pianeta Volley”, a Ravenna. Da lì una carriera da “Gigante del Polesine”, come lo avevano ribattezzato subito quelli della tribù della pallavolo. Un gigante di uomo, ben al di là dei 202 centimetri d’altezza. Da lassù il Bovo, girovagando per mezza Italia, ha schiacciato e vinto tutto, ma soprattutto ha saputo guardare l’universo e l’umanità con occhi diversi. E lo ha fatto fino all’ultima battuta, da un campo di provincia - il regno del volley è tutto un campanile, più sano e virtuoso del resto dello sport - , scegliendo Forlì come ultimo approdo prima di chiudere. Un club di B2, lontano dai riflettori dei parquet che contano. Una scelta di cuore, fatta esclusivamente per stare più vicino possibile a Federica e ai loro bimbi. «Lo ha fatto solo per noi... Anche quando tornava dalle trasferte più lontane, Bovo se trovava ancora i bambini svegli non perdeva tempo, bisognava continuare a giocare tutti insieme». La vita per lui era un gioco, un sogno da condividere con questa ragazza dagli occhi che sorridono, incontrata durante una trasferta a Napoli. «Ho fatto tutto io - dice divertita Federica -. Ad unirci certo, è stata anche la pallavolo. A 17 anni anch’io giocavo in A1, mi avevano praticamente messo in mano la Fincres di Roma. Ho avuto i miei momenti di gloria e le mie soddisfazioni, poi quando ho sposato Bovo e abbiamo deciso di mettere su famiglia ho capito che il mio ruolo ideale sarebbe stato quello di moglie e di mamma». Un addio alla pallavolo a 26 anni, ma senza rimpianti, «anche perché spiega - quando avverti che ti pesa perfino preparare la borsa per andare agli allenamenti allora vuol dire che è arrivato il tempo di smettere. E questo tanti sportivi non lo capiscono, insistono, vanno avanti anche al di sopra delle proprie forze e poi si commettono degli errori, a volte irreparabili, come è successo a Schwazer...». Il suo Vigor aveva continuato solo per quella stessa passione che da adolescente lo portò lontano da casa. E se errore ci fu, a commetterlo potrebbero essere stati i due medici sportivi, ora indagati per omicidio colposo. Bovolenta soffriva di una “coronaropatia aterosclerotica severa”, per cui non avrebbe dovuto ottenere l’idoneità per giocare. «Su questo, io mi pronuncerò solo quando avrò certezza dei fatti ed è chiaro che voglio che si arrivi alla verità. Il caso di Bovo come quello di Piermario Morosini? Sono entrambi due vite spezzate di giovani sportivi. Ma la storia tra lui e la sua fidanzata, con tutto il rispetto, non può essere paragonabile alla mia di madre e di donna che è rimasta da sola con cinque bambini...». Una sfida quotidiana che comincia con la sveglia alle 6,30. Federica che «con l’aiuto dei nonni materni», prima di andare in ufficio, accompagna 4 dei suoi bimbi a scuola, il quinto che resta a casa, è nato dopo che il loro papà è volato via. «Ho scoperto di essere in dolce attesa di Andrea dieci giorni dopo che Bovo non c’era più. E più di tutti questo è il figlio che ha voluto lui...». Lo dice senza ombra di patetismo, ma con l’orgoglio e la forza della leonessa. «All’inizio ho avuto paura di non farcela. Oggi so che è il carisma unico di Bovo che continua a portarci il mondo in casa e che mi trasmette un’energia che non pensavo minimamente di possedere. Adesso mi sento uno “tsunami” e ho voglia di impegnarmi perché il suo nome resti e faccia del bene a tutte le persone che hanno bisogno d’aiuto». Federica sta scrivendo un libro sulla sua storia con Bovo, che «comunque sia andata mi fa sentire una persona fortunata. In questo anno ho ricevuto tante testimonianze di giovani donne che mi hanno raccontato di aver perso anche loro il marito e di essere rimaste con due-tre, qualcuna anche quattro figli, senza uno straccio di lavoro. A me almeno la Federazione Italiana Pallavolo ha dato un posto e una speranza per il futuro dei miei bambini». Dopo l’ufficio Federica corre a riprenderli tutti e la sua casa diventa la palestra dei piccoli Bovolenta crescono. «C’è chi gioca con il pallone, come Alessandro che ha scelto il calcio, ma è il “clone” di Bovo, a 8 anni senza che nessuno glie lo abbia chiesto ha deciso che è lui il capo carismatico delle sue sorelle. Loro non passa giorno che non mi chiedano di parlare e di ricordare il loro papà e le gemelline quando guardano la foto di Bovo, alzano il ditino al cielo e poi mettono subito la mano al cuore...». Un gesto tenero, istintivo, che hanno visto fare in campo da quel “Gigante” della pallavolo italiana. «Bovo e io abbiamo vissuto sempre combattendo il divismo. Il volley per noi è stato prima di tutto “lo Sport” e poi il lavoro con cui mantenere la famiglia e realizzare qualche sogno, come la casa che avevamo costruito a Ravenna. Perciò i nostri figli sanno che il loro papà era bravo, ma perché glie l’hanno detto i tifosi. L’anno scorso per il “Bovo Day”, Alessandro si è avvicinato e mi dice: “Mamma, ma io non credevo che papà fosse così famoso”...». Quel giorno al PalaDeAndrè di Ravenna si erano ritrovati a migliaia, con la Nazionale che sfidava gli “Amici di Bovolenta”, la generazione di fenomeni Vullo, Lucchetta, Giani, Cantagalli e Zorzi, più il piccolo Alessandro chiamato in campo per la battuta finale. «Una festa che ripeteremo anche quest’anno a Piacenza, l’1 giugno, il giorno dopo il 39° compleanno di Vigor. Saremo sempre di più e ancora più forti di un anno fa, perché è questo ciò che Bovo vuole da tutti noi...».