giovedì 5 ottobre 2017
Al Piccolo di Milano fino al 15 ottobre l'opera di Jean Genet con l’artista tra le protagoniste: «Il testo è pieno di trabocchetti e prevede un colpo di scena finale che non va svelato prima»
Anna Bonaiuto, "Le serve" e il mestiere dell'attrice
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Ho visto martedì sera, alla prima milanese (Piccolo Teatro Paolo Grassi, in programmazione fino al 15 ottobre), Le serve, di Jean Genet. Anna Bonaiuto è una delle tre attrici protagoniste, con Manuela Mandracchia e Vanessa Gravina, la regia dello spettacolo è di Giovanni Anfuso. Genet non è un autore che amo. Ma lo considero importante.

«Anch’io - commenta Bonaiuto - non sono troppo attratta da certo nichilismo prevalente nel Novecento, preferisco Schnitzler… Ma poi bisogna entrare nel vivo di un autore. E Genet è un autore importante: rappresenta un’epoca, il dopoguerra, la sua rabbia ha senso. E senso teatrale, indiscutibilmente. Quindi – prosegue l’attrice – nonostante le mie preferenze in assoluto, se e quando scelgo un testo è perché ci credo e ne sono attratta... Questa è per me la prima regola, per un attore. Per me non ha senso scegliere un dramma per farne una parodia, o per farlo diventare altro. Devi provare attrazione e pensare a entrarvi. Solo così lo spettatore ha la possibilità di accedervi. In caso contrario lo confondi».

lo spettacolo non soltanto tiene, ma si manifesta con chiarezza laddove potrebbe ingarbugliarsi e creare confusione nello spettatore. La storia delle due cameriere che recitano, continuamente, in assenza della Signora, le parti alterne di padrona e serva, è un gioco teatrale molto ben scritto, dove finzione e realtà si alimentano: da un lato le due, travestendosi da padrona, con i suoi ricchi abiti, e da cameriera con il grembiule, stanno recitando, ma dall’altro manifestano il rapporto tremendo del servo verso un padrone che mitizza: esaltandolo, da un lato, temendolo e invidiandolo, nel profondo. Messa in scena a rischio. «Messa in scena difficile, molto rischiosa davvero – spiega Anna Bonaiuto – perché il problema di fondo di chi interpreta le due cameriere è se far comprendere subito allo spettatore che si tratta di una recita, negandogli l’emozione della scoperta ma mettendo in chiaro la situazione, o tenere invece questa recita in una zona misteriosa, ambigua. Che insomma questi dialoghi sembrino veri dialoghi tra serva e padrona, ma con qualcosa che riesca a emanare un senso di mistero».

C’è suspence, insomma, e non va svelato il colpo di scena che verrà.... «Certo, non va svelato, ma nemmeno dovrà cadere dal nulla. Il lavoro fatto da me e Manuela Mandracchia – afferma l’attrice – in questo senso è di mantenere l’illusione della realtà, ma insinuandovi zone di sospetti, isole di silenzio. Ho visto tante “Serve”, spesso con attrici bravissime, ma a volte mancava questa ambiguità tra recita, teatro, e realtà della storia che è il segreto di Genet, il quale poi si svela manifestando odio per la Signora: la odia perché è buona… Troppo facile, dice, essere buoni quando sei bello, e ricco…E fatalmente quella generosità si rivelerà fasulla». La signora, in questa pièce di alto livello attoriale – cui avrebbe giovato però un controllo registico maggiore sugli spazi, sugli spostamenti accanto al letto troppo dominante la scena – è una carismatica Vanessa Gravina, che appare, nella casa e in scena, con movenze distaccate, eleganti, pare citando l’algida Rossella Falk di un certo Pirandello. Una presenza che felicemente contrasta con le due serve, accumunate da odio e desiderio di un crimine che alla fine, inesorabilmente, avrà luogo.

«Difficile recitare quest’opera piena di trabocchetti – è il giudizio della Bonaiuto – e ci si siamo imposte di renderla chiara, senza tradirla. E certo fuori da ogni didascalismo. Ma è quello che per me l’attore deve fare sempre: chiarire il personaggio a se stesso immedesimandosi nello spettatore. L’attore deve pensare a se stesso come pubblico. Non narcisisticamente. Ripeto che è fondamentale scegliere un dramma o una tragedia perché ti attrae, anche se contiene qualcosa di disturbante».

Anna Bonaiuto ha dato volto e voce a tanti personaggi femminili di epoche diverse. Ma la caratteristica di questa attrice serissima, tra le più importanti del panorama italiano, è di eccellere tanto nel cinema quanto nel teatro. Non accade quasi mai, in Italia. Mastroianni fu importante attore di teatro con Visconti, per poi divenire uno dei più grandi attori del cinema. Gassman da celebre interprete drammatico, shakespeariano, divenne mitico in Il sorpasso, uno dei film più importanti di sempre. Carla Gravina era cinema e teatro, e televisione, memorabile Il segno del comando. Ma a parte questi e pochi altri casi, e soprattutto negli ultimi decenni, le strade divergono. Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi, Valeria Moriconi, Glauco Mauri, i massimi del teatro italiano compaiono saltuariamente nel cinema, e viceversa. Anna Bonaiuto eccelle in teatro e cinema, lavorando accanitamente nell’uno e nell’altro...

«Io non credo affatto che esista un attore di teatro e uno di cinema. Esistono attori bravi o meno – commenta l’attrice nata a Latisana, in Friuli Venezia-Giulia, ma di origini napoletanissime – e se un attore vale non c’è differenza tra teatro e cinema, perché fa parte del bagaglio e del talento di un attore dotato comprendere la situazione e immedesimarsi. Però questa divisione esiste di fatto, in Italia. Non è mai esistita altrove, Al Pacino e David Niven e i loro celebri colleghi si sono sempre dedicati ai due generi. In Italia in origine i registi si rivolgevano a bravi attori teatrali, poi il Neorealismo, che fu un fenomeno di grande rilievo, cambiò tutto. Ladri di biciclette, per fare un solo esempio, vide un regista bravissimo far recitare persone trovate per strada. Poi negli anni della commedia all’italiana si scelsero spesso attrici straniere abbandonando un po’ il teatro. Ma è una realtà che si è manifestata, non in base a un a necessità posta a priori. A priori non esiste un attore di teatro o di cinema ma solamente un attore. Tra l’altro ora vediamo una fusione in tal senso, ad esempio con il cinema di Mario Martone. La disposizione di base è ciò che conta: io ritengo necessario il teatro e necessario il cinema. Tutto parte dall’attore. È questo, il punto. L’attore...».

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