Le cifre della produzione sono da kolossal: un budget di oltre 5 milioni di euro, due star della lirica come la russa Anna Netrebko e il messicano Rolando Villazon al debutto sul grande schermo, cento comparse impegnate sul set che a Vienna, negli studi della Filmstadt (la Cinecittà austriaca, lo dice la parola stessa), hanno ricreato la Parigi di metà Ottocento. Quelle della distribuzione, invece, da film di nicchia: solo nove le sale cinematografiche che in Italia dal 6 aprile – curioso aver scelto un lunedì per il debutto (che avverrà in contemporanea a Milano, Firenze, Roma e Bologna) quando solitamente è il venerdì il giorno d’esordio delle nuove pellicole – programmeranno La bohème, il film che Robert Dornhelm ha tratto dall’opera di Giacomo Puccini. Stavolta la politica non c’entra, ma per certi versi siamo di fronte ad un altro caso Katyn ( denunciato da Avvenire), il film di Wajda censurato dai cinema italiani. Il «mercato» infatti sembra non volere altro che filmoni hollywoodiani e (poche) commedie all’italiana. E tutto il resto, viene penalizzato. Tanto più che quello del regista di Into the West non è un film «all’americana» pieno di effetti speciali – anche se alcune inquadrature sembrano strizzare l’occhio a Moulin rouge – che garantiscono il tutto esaurito al botteghino. Ma quella di Dornhelm, che si cimenta per la prima volta con l’opera lirica, non è nemmeno la semplice trasposizione sul grande schermo del capolavoro pucci- niano. «L’opera è un genere che non si addice particolarmente al mio stile: la trovo troppo statica e definitiva » racconta il regista che recentemente ha firmato la trasposizione televisiva di Guerra e pace. E spiega di aver accettato di mettersi dietro la macchina da presa «per cercare di tramutare in immagini quanto di emozionante e genuino è contenuto nella musica». Un’operazione che Dornhelm fa con molta libertà, piegando la partitura al linguaggio cinematografico e raccontando anche quello che le note di Puccini lasciano solo intuire. «Ho sempre pensato: L’opera è facile! Ma dopo 3 giorni di riprese ero sfinito» racconta ancora il regista che ha potuto contare su due cantanti della nuova generazione, due voci del cosiddetto star system della lirica che all’estero va per la maggiore, ma che in Italia non riesce a sfondare. Una coppia che i teatri di mezzo mondo si contendono e che è l’esempio di come il mondo dell’opera, prima che con le voci, debba fare i conti con lo strapotere dell’immagine: fisico da modella, spesso immortalata in scatti che ricordano Audrey Hepburn, la Netrebko racconta che «muoversi davanti a una telecamera è totalmente diverso che stare su un palcoscenico: non devi fare grandi gesti o esaltare l’espressività perché le emozioni passano attraverso un semplice sguardo». Villazon, invece, svela un trucco: «Anche se la musica era registrata era impossibile non cantare dal vivo durante le riprese». Dornhelm, infatti, ha voluto concentrare tutto sulla recitazione e ha imposto il playback, utilizzando l’incisione dell’opera fatta da vivo a Monaco di Baviera nell’aprile 2007 con Bertrand de Billy sul podio dell’Orchestra sinfonica della Radio Bavarese. L’effetto cinematografico è garantito: per 100 minuti riprese in alta definizione che ti portano dentro lo schermo e audio in Dolby surround che ti avvolge. Ma alla fine dell’opera lirica, quella che fa passare l’emozione dal palcoscenico alla platea, resta davvero poco.