Il cantautore genovese Umberto Bindi (1932-2002) - Archivio
Dici Umberto Bindi, ed è sinonimo del più bistrattato, il più osteggiato e sottovalutato dei cantautori. Eppure scopri che era anche uno dei più ammirati nell’ambiente del cantar leggero, e uno dei più capaci nell’emozionare le platee, fin dai lontani anni ’50. Umberto Bindi, ligure di Bogliasco, è stato anche uno degli epigoni della famigerata Scuola Genovese, e anche in quel clan di “geni ribelli” (De Andrè, Tenco, Paoli, Lauzi e lo “straniero” Conte) era considerato l’amico fragile. Il prossimo 12 maggio, avrebbe compiuto 90 anni, e se fosse ancora qui, da vecchio ed elegante signore della canzone racconterebbe di un successo piovutogli addosso precocemente, quando nel 1959 si impose con la struggente Arrivederci.
Brano diventato un cult, dedicato a un amore maschile, per cui Bindi si sentì in dovere di fare un drammatico coming out. Un gesto azzardato fatto in un tempo in cui l’Italia non solo non capiva, ma condannava l’omosessualità.
L’anno dopo, con il mentore paroliere Giorgio Calabresi pubblicava Il nostro concerto (canzone con l’intro strumentale più lungo della storia del pop italico, “70 interminabili secondi”) che rimarrà al comando della hit-parade per dieci settimane.
Nel 1961 all’apice della popolarità, Bindi si presenta a Sanremo con Non mi dire chi sei, scritta per lui da Gino Paoli, ma la stampa e la pubblica ottusità non ascolta quella melodia, tipicamente bindiana, e si concentra solo sull’anello che porta al dito: e quella fu la conferma della sua diversità. Sempre nel ’61 Gino Paoli scriverà per lui Il mio mondo.
Bindi resiste agli attacchi frontali e rilancia con La musica è finita (1967) – scritta con Franco Califano e Nisa, per Ornella Vanoni – e Per vivere (1968) resa popolare dalla voce di Iva Zanicchi. Ma allo scoccare dei moti del Sessantotto, nonostante la rivoluzione culturare in corso, per l’Italietta bigotta Bindi era ormai solo il “cantautore diverso”. «Umberto era anomalo e diverso sempre da tutto e tutti, perciò ha un ruolo a parte, anche rispetto ai cantautori della Scuola Genovese.
Lui era un musicista da conservatorio. De Andrè, Paoli, Lauzi (che per lui scrisse la splendida Io e il mare) erano cantautori folk e pop. Bindi invece aveva l’urgenza vitale di scrivere testi da musicare, era un pittore della composizione che usava lo spartito su cui dipingeva le sue note». Parola di Ernesto Bassignano: il Bax, cantautore cuneese, classe 1946, rapito ventenne da Roma e assurto a uno dei figli prediletti (con De Gregori e Venditti) del Folk Studio.
Lo scorso anno Bassignano aveva pubblicato il disco Ritratti d’autore – Bindi, un doppio album tributo con artisti vari («cooprodotto dall’amico Alberto Zeppieri») che si “ripeterà”, live, il prossimo 12 maggio, data del 90° compleanno di Umberto Bindi. «Sarà una serata- omaggio – promossa dal Comune di Roma, dal Club Tenco e dal Premio Bindi – quella all’Officina Pasolini e vedrà protagonisti gli amici vecchi e nuovi di Umberto», annuncia il Bax. Un segno di riconoscenza collettivo verso un artista che Bassignano incontrò nel ’90, nella parabola finale della sua esistenza.
«Era un Bindi ormai defilato e sempre più al margine, ma ancora pieno di creatività, con cui iniziai una collaborazione decennale durata fino alla sua morte, avvenuta vent’anni fa, il 23 maggio 2002 – spiega Bassignano – . Il nostro incontro avvenne al Cinemino di Recanati, in occasione della prima edizione di Musicultura. Umberto cantava su basi rimediate, eppure ascoltarlo fu una grande emozione. Seduto in prima fila con Gino Castaldo e Vincenzo Mollica alla fine avevamo gli occhi lucidi, ci alzammo in piedi e applaudimmo Bindi fino a spellarci le mani. Poi Umberto scese dal palco, si complimentò per il mio concerto e mi fece: “Bax ci vediamo a Roma? Perché non scrivi qualcosa per me?” Da quel momento sono stati dieci anni di collaborazione vissuti intensamente tra ten- tativi “sanremeschi” falliti, casini inenarrabili, concertini sfigati con quattro spettatori in sala, “buffi”, prestiti e crediti con ogni tipo di “cravattaro”. Umberto era pervaso da un masochismo infinito, un’incapacità innata di pagare tasse e bollette. Per non parlare degli appuntamenti importanti mancati... In compenso mi ha regalato un’amicizia sincera che si nutriva anche di cene genovesi a base di pesto e fagiolini».
Le notti romane infinite, in compagnia di quell’allegra brigata del Bax nell’attico di Bindi, a Monteverde, e poi nella villa presa in affitto a lago di Bracciano, in borgata Monterosi. «Le case condivise con i suoi amici a quattro zampe, due cani e tre gatti.. Umberto aveva anche un pappagallo – sorride Bassignano – . Ci accoglieva rigorosamente in vestaglia, seduto al pianoforte che non smetteva mai di suonare».
Per gli amici partiva con le sue “perle” che lo avevano reso celebre ovunque. Il mio mondofatta conoscere da Carl Sigman, con il titolo You’re my world, in America l’hanno cantata tutti, da Tony Bennet a Dionne Warwick fino a Tom Jones. «I Beatles intervistati in Italia, parlano di Volare, Pavarotti e Bindi come le uniche cose conosciute e apprezzate della nostra musica... – sottolinea Bassignano – Tanta gente ignora che Arrivederci ancora oggi viene eseguita in tutto il mondo. E mi affascina la storia di Marino Barreguigno to, che, con la sua voce nasale, la rese la canzone “regina” dei cabaret e i pianobar internazionali. E poi ci sono delle canzoni straordinarie, come Io e la musica, scritta da Umberto nel ’78, quando ormai era in piena crisi, abbandonato dall’ipocrita canea sanremese che l’aveva messo al bando e condannato al più triste e bieco degli oblii».
Si emoziona e si infervora, come sempre, Bassignano che torna ai giorni del sodalizio con Bindi. «Con me Umberto cambia registro, abbandona le sue composizioni classiche da tre minuti e scatena quella libertà, incurante di strofe e ritornelli, che trovava solo quando suonava la sua musica, la quale aveva bisogno di testi poetici per essere esaltata ». Nascono così canzoni come Imperdonabile davveroe Pianoforte che ridisegnano in parte, quella che Bassignano definisce «la nuova carta d’identità di un maestro unico al mondo, civilmente incorreggibile».
Inafferrabile Bindi che con la sorella di Bassignano, Ida, accettò l’idea di un musical, basato sulla sua vita: «Doveva intitolarsi Metà angelo e metà diavolo, ma non si realizzò mai. Umberto in quello stesso periodo fu anche tra i sostenitori del progetto “Fonopoli” di Renato Zero, il quale per amicizia e stima dell’artista scrisse insieme a lui Letti che Bindi portò a Sanremo nel ’96, dove gli riaprirono ipocritamente le porte».
Ultimo posto (in gara assieme ai New Trolls), con effetti collaterali dirompenti, ma non certo alla Vasco Rossi. L’uscita di scena senza gloria dall’Ariston, lasciò comunque il segno. «In ogni teatro dove Bindi si esibiva era tutto un lancio di fiori. Umberto suscitava una commozione come non ho mai visto per altri cantanti in oltre cinquant’anni di musica. E questa empatia straordinaria con il pubblico è durata fino alla fine della sua vita, che è stata tragica».
Epilogo ingrato di un “poeta maledetto” che non ambiva certo ad essere tale. Un quotidiano che, come tutti i poeti veri, era fatto di miseria, alla quale pensò di porre rimedio Maurizio Costanzo facendogli ottenere la Bacchelli.
«Litigai per questo con Costanzo, il quale in cambio del vitalizio pretendeva le comparsate di Bindi al suo Show al Teatro Parioli. L’ultimo tentativo di trascinarlo in tv lo fece con Umberto ormai agonizzante in clinica, e allora mi piazzai davanti alla porta della sua camera e gli impedii di entrare».
Quando Bindi si spense per sempre, vent’anni fa, Marco Castoldi, in arte Morgan, aveva appena compiuto trent’anni, ed è lui uno dei “nuovi” amici più attesi al concertoomaggio per Umberto. «Morgan, a differenza di qualche star che dice di amare alla follia Bindi, e poi defezionerà al nostro concerto, ha aderito immediatamente e con grande entusiasmo – conclude Bassignano – . Morgan prima di salire sul palco, il 12 maggio, al mattino, parteciperà a una tavola rotonda organizzata al Conservatorio Santa Cecilia. Parleremo di Umberto, ricordandolo come quel grandissimo artista che è stato ingiustamente punito dalla vita e dal suo Paese. E poi suoneremo la sua musica “misteriosa” che, per dirla alla Paolo Conte «ha occhi a mandorla e fisarmonica... e non si sa perché...e non si sa perché...».