Augustin Berque fotografato da Claude Truong-Ngoc - WikiCommons
Geografo, filosofo, antropologo, orientalista. Difficile intrappolare Augustin Berque tra le strettoie delle discipline accademiche. Si muove tra questi campi del sapere, e attraverso più di cinquecento opere costruisce un originale cammino di pensiero, ancora poco conosciuto in Italia. Fortunatamente l’editore Mimesis da un paio d’anni ha infranto il muro della dimenticanza editoriale pubblicando prima Ecumene. Introduzione allo studio degli ambienti umani e da poco Essere umani sulla Terra. Principi di etica dell’ecumene (pagine 186, euro 16,00). In essi Berque traccia i contorni di una nuova strategia di pensiero dove geografia e ontologia si intrecciano in maniera indissolubile.
Esiste dunque uno stretto legame tra ontologia e geografia, professore?
L’organizzazione dello spazio terrestre da parte delle società umane manifesta l’interconnessione tra i due, che definisco medialità. Il giapponese Watsuji ha definito questo concetto come «il momento strutturale dell’esistenza umana». In altre parole si tratta dell’accoppiamento dinamico del nostro essere e del nostro milieu eco-tecno-simbolico, che si traduce in particolare nel paesaggio.
Per pensare questa interconnessione lei definisce una nuova disciplina, la mesologia…
La mesologia, tra i cui fondatori, figurano un naturalista come Jakob von Uexküll e un filosofo come Watsuji, apre una prospettiva onto-logica, sia ontologica che logica. Essa permette di andare oltre al classico paradigma occidentale moderno e sfuggire alla sorte, forse mortale, a cui ci sta conducendo a furia di “deterrestrarci”, vale a dire astraendoci dalla nostra condizione terrena, l’attuale corso della nostra civiltà.
Perché parla di ecumene e meno di Terra, allora?
L’ecumene è al tempo stesso la Terra di Galileo, che si muove, e la Terra di Husserl, che non si muove. La mesologia, parlando di ecumene, permette di evitare di ridurre la Terra alla biosfera, che è solo ecologica, o al pianeta, che è solo fisico-chimico, pur assumendo che l’esistenza umana presupponga entrambi.
Emerge in questa prospettiva un legame stretto tra l’uomo e il luogo. Come lo definirebbe?
Un luogo non è solo il luogo fisico fortuito che occupiamo in un certo momento della nostra esistenza; è il focolare, la casa, della nostra medialità. È da lì che si dispiega la spazializzazione, il Räumung lo chiamerebbe Heidegger, della nostra esistenza, che avviene in funzione degli esseri e delle cose del nostro milieu.
Qual è il rapporto tra appartenenza e libertà?
Questi due termini non hanno significato che in relazione l’uno con l’altro. L’uno presuppone l’altro ed entrambi sono necessari all’esistenza umana. Siamo liberi solo in relazione all’appartenenza, e apparteniamo veramente solo se abbiamo la libertà di potercene distaccare. Questa libertà appare con la vita e si dispiega con il libero arbitrio che tecnica e simbolo hanno conferito all’umanità. La vita tuttavia continua ad appartenere alla biosfera, che continua ad appartenere al pianeta. Anche su Marte non potremmo trascendere la nostra appartenenza terrena perché continueremmo ad avere bisogno di aria, acqua e di tutto il resto.
Lei parla di sradicamento dell’etica. Può spiegare questo fenomeno?
Nasce dal dualismo moderno di ispirazione cartesiana, che ha origini ben più remote, essendo sia un’eredità biblica sia un’eredità dell’antichità greca. Questo dualismo taglia alla radice ciò che coinvolge l’essere soggettivo dell’umano con il suo milieu, il quale finisce col diventare nient’altro che un semplice ambiente oggettivo. Per fondare l’etica, bisogna riconoscere questa implicazione, che ancora una volta non è altro che riconoscere l’interconnessione umana, il prisma attraverso cui le persone e le cose esistono per noi.
La pandemia è un’opportunità per superare lo sradicamento dell’etica?
È l’opportunità di riscoprire sia il nostro bisogno degli altri, l’interconnessione umana, sia il nostro bisogno di un milieu, cioè di un rapporto ecotecno- simbolico con la Terra, che si realizza attraverso determinati luoghi. È l’occasione, insomma, per riscoprire il senso delle parole di Virgilio. « Laudato ingentia rura / exiguum colito » (“Canterai vaste campagne, ma una piccola curerai”), scriveva. Pensare alla Terra, con la maiuscola, e prendersi cura della terra, con la minuscola. Come Candido, ma in nome della Terra, coltiviamo il nostro orto!