«Gli esseri umani pensano di conoscere tutto, di possedere e controllare ogni cosa, persino gli elementi della natura. Invece non è così. Nessuno vorrebbe scendere nei propri luoghi oscuri, affrontare situazioni estreme, trovarsi faccia a faccia con la paura e la morte, eppure a volte è necessario per scoprire o riconquistare l’umanità che è in noi». Basterebbero questa parole pronunciate da Juliette Binoche per spiegare il senso di
Nessuno vuole la notte di Isabel Coixet, film di apertura della 65ª edizione del Festival di Berlino, al via giovedì sera. Autrice assai coccolata dalle kermesse cinematografiche internazionali, capace di plasmare personaggi femminili forti e determinati (tra tutti vale la pena ricordare la madre ammalata che insegna alla propria famiglia a vivere facendo a meno di lei in
La mia vita senza me), la Coixet ci racconta la conquista del Polo Nord, ma osservata questa volta da un punto di vista femminile, quello di una donna dell’alta società newyorkese, Josephine Peary, che nel 1908 decide di raggiungere il marito, l’esploratore Robert Peary, e condividere con lui il glorioso momento della scoperta di uno dei luoghi più misteriosi, puri e ostili del nostro pianeta. Sebbene tutti la mettano in guardia dai pericoli legati a un viaggio tra quei ghiacci, Josephine decide di correre il rischio, e accompagnata da un esploratore e due eschimesi parte per raggiungere il consorte. L’incontro con una donna inuit, Allaka (interpretata dalla giapponese Rinko Kukuchi), anch’essa legata all’esploratore, modificherà per sempre il suo rigido modo di vedere il mondo e la vita spingendola ad affrontare la fame, il dolore e i propri fantasmi nella lunga notte artica.
Nessuno vuole la notte, dice il titolo, nessuno cioè vuole fare i conti con le proprie paure più profonde, sottolinea la Binoche, eppure a volte non possiamo farne a meno. «In questo western al femminile, in questo romanzo di avventura e scoperta di sé – continua l’attrice – Josephine si trasforma da pavone in cane, sbarazzandosi di tutto il superfluo e arrivando al cuore delle cose, scoprendo emozioni e sentimenti sconosciuti».Mostrando sia la bellezza mozzafiato che l’insostenibile crudeltà della natura, la regista ci conduce in una dimensione estrema dove la lotta per la sopravvivenza cancella tutto quello che pensiamo di sapere sul mondo. Ma se due uomini nella medesima situazione avrebbero forse cercato di divorarsi a vicenda, le due donne costrette a superare una notte lunga mesi, messe da parte le iniziali diffidenze e barriere culturali, lottano insieme per lo stesso obiettivo, la vita. Basato su personaggi reali – la Binoche ha letto tutti i resoconti della Peary sui propri viaggi – ma costruito dallo sceneggiatore Miguel Barros grazie a massicce dosi di invenzione (molti anni dopo, inoltre, si scoprì che Peary non era arrivato esattamente al Polo),
Nessuno vuole la notte è uno di quei film che rendono tangibile la magia del cinema. Per quasi due ore il pubblico rabbrividisce in totale sintonia con i protagonisti immersi nel gelo dalla testa ai piedi, eppure, ad eccezione di qualche ripresa esterna in Norvegia, dove la troupe ha trascorso appena tre giorni, tutto il film è ambientato in studio, dove la temperatura era invece piuttosto elevata. Al punto che la Binoche, per non squagliarsi sotto le pellicce che indossava sul set, andava a rinchiudersi in una cella frigorifera. «Abbiamo creato il freddo con l’immaginazione, la nostra di attori e la vostra di spettatori. La fantasia, sapete, rende possibile ogni cosa».