n primo piano a destra: il coach Marco Calamai (a fianco Fiona May), con alcuni ragazzi del progetto Overlimits - Roberto Serra - Iguana Press
Nel mondo del basket, Marco Calamai, è un essere assolutamente speciale. Come del resto tutti i suoi allievi del trentennale progetto “Over Limits”. Da giocatore e da coach forse, per la bieca legge dei numeri fatti e dei titoli conquistati, non verrà ricordato dalla storia del pallone a spicchi come un “vincente”, e questo a partire dagli esordi “choc”. Il 18enne fiorentino Calamai, esterno di 190 centimetri su fisico muscolare di 90 kg perenni, approda a Bologna, sponda Fortitudo, e nel derbyssimo delle Due Torri, stagione di A1 1969-’70, contro la Virtus, a pochi secondi dal fischio della sirena con la sua squadra sotto di un punto, sbaglia entrambi i tiri liberi. «Andai alla lunetta e avevo 8mila tifosi virtussini che fischiavano inferociti, perfino i miei compagni del Liceo Classico mi insultavano… Ero in tilt». Prova a rifarsi da giovane coach, a Ferrara e Venezia, ma con squadre costruite sempre in piena emergenza finanziaria. Ultima fermata a Livorno, dove compie il “miracolo”: in corsa prende la formazione labronica («con una rosa di 11 giocatori») all’ultimo posto e la trascina ai playout, con in mezzo l’impresa storica: va a vincere 121-120 («con la squadra rimasta in tre») contro l’invincibile Olimpia Milano di Mike D’Antoni e in quel quintetto lancia «un talento pazzo», ma dal grande futuro azzurro: il “Poz”, l’attuale ct della Nazionale Gianmarco Pozzecco. A fine stagione il crac finanziario di Livorno, che sparirà, arriva come una manna, perché gli fa prendere la decisione più importante della sua vita: chiudere con quel mondo fatto di procuratori e faccendieri distanti dal suo credo di uno sport etico e inclusivo e dedicarsi agli altri, ai più deboli. E la seconda vita lontano dai riflettori del professionismo è quella del vincente alla Nelson Mandela, il quale insegna che «un vincente è uno che non ha mai smesso di sognare». Il sogno del coach si è fatto sistema universalmente riconosciuto, anzi è diventato metodo: il “Metodo Calamai”. «Tutto è cominciato in un borgo dell’Appennino emiliano, a Monzuno, dove durante un ritiro estivo mi invitò la dottoressa Emma Lamacchia, psichiatra infantile allieva del prof. Adriano Milani (fratello maggiore di don Lorenzo Milani) per presentarmi i suoi ragazzi, dei minori con tutte le disabilità possibili e immaginabili, seguiti dal Centro di Terapia La Lucciola. Rimasi molto colpito da questo gruppo di giovanissimi che non avevano nessuna idea di gioco, neanche del nascondino per intenderci. Ho proposto di allenarli e dopo poco abbiamo iniziato un percorso che ha avuto subito l’affiliazione alla Federbasket dell’allora e attuale presidente Gianni Petrucci e del ct Ettore Messina. Ettore venne a quei primi allenamenti e si commosse… ». Una piccola grande rivoluzione: attraverso il basket far giocare insieme diversamente abili e normodotati. Calamai è stato il primo al mondo che è riuscito a rompere i ghetti delle diverse disabilità e mettere in comunicazione, sullo stesso parquet, down, cerebrolesi, autistici, psicotici, caratteriali e normodotati, consapevoli di far parte di un'unica squadra. Dalle colline di Monzuno scese subito nella sua città adottiva, Bologna, dove, nel tempo, seguendo il “Metodo Calamai” oltre alla Fortitudo Overlimits sono nati altri due centri in cui vengono seguiti e allenati, tra adulti e minori, circa 110 ragazzi. Un bagaglio di esperienze che fanno scuola, in Italia e all’estero. In trent’anni di attività, grazie a un lavoro di scouting di giocatori professionisti, allenatori, genitori e volontari, il “Metodo Calamai” si è allargato a tutto il territorio nazionale, con esperienze che nascono continuamente, da Nord a Sud, e che sono state raccolte nel libro del coach Uno sguardo verso l’alto (Franco Angeli) uscito nel 2008 e integrato nel 2023 con altre decine di esperienze nuove come le due prefazioni: quella del presidente del Comitato italiano paralimpico Luca Pancalli e del presidente della Cei, il cardinal Matteo Zuppi. «Solo alzando lo sguardo si vedono gli altri e solo vedendo gli altri trova realizzazione piena la vita di ogni persona; solo impegnandoci per gli altri troviamo quella gioia che viene dal più profondo del cuore, fatta di ascolto, di accoglienza, di impegno, di servizio», scrive il cardinal Zuppi che è uno dei grandi tifosi degli Special Team di Calamai. Una sfida giocata con grinta, fiducia e amore verso il prossimo, ma che per vincerla ogni anno necessita di fondi che non bastano mai per sostenere le tante attività. «Riceviamo encomi da tutte le parti, ma poi alla fine sono poche le aziende disposte a darci una mano concreta. Se riusciamo ancora ad andare avanti lo dobbiamo al cuore e la generosità della Emil Banca di Bologna che ci segue dai primi passi, alla Pmg Italia che offre servizi alle persone più fragili. E di recente è arrivato il prezioso sostegno della Duferco Energia, un’azienda di Genova attiva nel campo delle energie rinnovabili che opera nel terzo settore. Senza questi tre sostenitori speciali durante il Covid avremmo rischiato di chiudere». Iniezioni di energia vitali, che al “Cavalier” Calamai, nominato nel 2012 dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano («per avere aperto nuove vie attraverso lo sport inclusivo») servono a credere nel futuro e a rispondere alle richieste di aiuto. «L’ultima mi è arrivata dalla signora Adriana Brunetti, madre di due gemelli con difficoltà intellettive, la quale cercando il mio libro si è messa in contatto con la trasmissione Farenheit e così è nata una collaborazione tra Over Limits e Basket4All di Roma ideato da Alberto Aurelio». Una delle storie di Uno sguardo verso l’alto, che, a sentirle raccontare dalla viva voce di coach Calamai, commuovono fino alle lacrime. «Tutte le storie personali di questi ragazzi parlano di un vissuto incredibile, di tragiche cadute ma anche di straordinarie risalite. Penso a Davide, arrivato da noi con il marchio del Bes (ragazzo con Bisogni educativi scolastici), un problematico difficilissimo da trattare. Beh, oggi ha 20 anni ed è un ragazzo talmente disciplinato che arbitra da tesserato dell’Aia. Davide è un grande esempio per gli altri. E vogliamo parlare di Mattia? Trent’anni, cerebroleso, faticava a stare in piedi, sette anni fa è caduto e i genitori me lo portarono trascinandolo a braccetto dicendomi: “D’ora in poi non verrà più, perché potrà stare solo in carrozzina”. Un attimo dopo mi volto e vedo Mattia in piedi che tira a canestro… Ora riesce a stare in piedi solo qui in palestra, perché gli piace il basket e ogni settimana si presenta con il suo caschetto salvacadute e incomincia a tirare». Piccoli miracoli quotidiani del “Metodo Calamai” come la storia di Leonardo che ha subito uno choc infantile a causa della lunga malattia del padre e da allora ha smesso di parlare. «Giocava con gli altri, in silenzio. Poi scoprimmo che era diplomato in violino al Conservatorio e gli chiesi se gli andava di suonare per la squadra. Nessuna riposta... Un giorno però si presenta con il violino e improvvisa un concerto di un’ora eseguendo musiche di Mozart e Beethoven. Cinquanta ragazzi disabili l’hanno ascoltato estasiati. Sento ancora il calore di quegli applausi per Leonardo che da quel giorno in casa mi dicono che abbia ricominciato anche un po’ a parlare». Anche Ike Hasbani, ragazzo autistico, accolto nella Community Farm a Cascina di Rossago (Pavia), non parla. Ike non si è avvicinato al basket dello Special Team, voluto dalla direttrice del centro la dottoresa Stefania Ucelli di Nemi e suo marito il prof. Francesco Barale, «ma scrivendo sulla tastiera con un dito di un educatore appoggiato sulla testa» ha scelto il campo della poesia, da cui ci manda a dire: «Bene vi parlo e sopportate, miei bizzarri gesti come io faccio con Voi quando soffocate con troppe parole, quando fingete che non ci sono e parlate di me. Io sento anche se non parlo». © RIPRODUZIONE RISERVATA In primo piano a destra: il coach Marco Calamai (a fianco Fiona May), con alcuni dei suoi ragazzi dello Special Team