Il maestro olandese Ton Koopman dirige l'Amsterdam Baroque Orchestra - Foppe Schut
Non c'è dubbio che Milano sia la città più bachiana d’Italia, grazie anche alla Società del Quartetto, responsabile di una storica integrale delle Cantate. Tra i protagonisti di quell’impresa c’era l’olandese Ton Koopman, che questa sera per il Quartetto torna nella basilica di San Marco con i suoi Amsterdam Baroque Orchestra & Choir per dirigere l’Oratorio di Natale in un concerto speciale in memoria di Antonio Magnocavallo.
Il Weihnachtsoratorium BWV 248, datato al 1734, è un ciclo di sei cantate in origine eseguite in altrettante giornate tra Natale ed Epifania: allo stesso tempo un grande affresco (nell’Europa luterana davvero la musica ha il posto che la pittura ha in quella cattolica) sul mistero della nascita di Gesù e un formidabile caso di “parodia”: «Nell’Oratorio Bach ha usato musica scritta in precedenza per cantate profane – dice Koopman – dotandola di un nuovo testo: era una prassi consolidata e diffusa. Ma ritroviamo anche corali utilizzati per la perduta Markuspassion, del 1731: probabilmente un segno per mostrare nel contesto del Natale quello che sarà il destino di Cristo. Tutte queste informazioni sono lì se sei attento a recepirle. Ma allo stesso tempo è grande musica godibile anche senza entrare nella più profonda delle analisi. Nell’Oratorio di Natale troviamo condensato tutto Bach».
Per il pubblico di oggi l’origine profana di una musica religiosa è qualcosa di straniante.
«Credo che Bach non abbia mai effettuato nessuna distinzione stilistica tra musica scritta per occasioni profane e occasioni sacre. Una delle poche vere differenze è che le cantate laiche spesso hanno un finale festoso mentre le cantate da chiesa terminano con un corale o con una pagina di carattere più serio. Nell’Oratorio di Natale il travaso funziona perfettamente, anche dove il parallelo è spiazzante. Ad esempio, la musica dell’aria per alto Schlafe, mein Liebster, genieße der Ruh’ (“Dormi mio carissimo, godi il riposo”), una ninna nanna che fa da sfondo a Maria che culla e accarezza il suo bambino, è la stessa dell’aria per soprano Schlafe, mein Liebster, und pflege der Ruh’ (“Dormi, amore mio, e nutri il riposo”) della cantata Laßt uns sorgen, laßt uns wachen, del 1733: qui troviamo una ragazza che si rivolge al suo amato e il testo ha un carattere sensuale. Per Bach evidentemente non era una grosso problema usare la stessa musica con due testi solo leggermente differenti ma di carattere opposto. La musica viene prima di tutto. Il coro iniziale Jauchzet, frohlocket è parodia della cantata Tönet, ihr Pauken! scritta nel 1733 per celebrare il compleanno della elettrice di Sassonia. Il testo originale sarebbe stato ancora più adatto di quello nuovo, perché si parla di trombe e di timpani che festeggiano l’inizio della pace! In ultima analisi ciò che conta per Bach è la gioia per un bambino che nasce. Sapeva di avere scritto della musica fantastica, eseguita una volta sola. Così ha avuto piacere di usarla di nuovo».
Questa separazione tra sacro e laico è un problema posteriore all’Età dei lumi? All’epoca di Bach doveva apparire naturale che le due sfere facessero parte allo stesso modo della vita.
«Sono d’accordo. Le persone non si scandalizzavano per il fatto che nell’Oratorio di Natale riascoltassero musica sentita relativamente poco tempo prima in cantate profane. Questi identici processi li vediamo in azione ad esempio nella Messa in Si minore. Probabilmente, non ne ho la certezza, la Trauerode BWV198, una cantata funebre, fu impiegata nella Markuspassion. Per il suo incarico a Lipsia Bach doveva produrre molta musica in poco tempo, è evidente che il “baule” delle partiture era un vero tesoro. Ma raramente venivano riusate tali e quali: Bach apporta sempre cambiamenti. A volte sono piccoli ri-È tocchi, altre è una vera rilavorazione perché le pagine si adattino perfettamente al nuovo contesto».
Quali sono le pagine dell’Oratorio che ama di più?
«Questa è un’opera ricchissima, però ci sono due momenti che amo in modo particolare: la sinfonia dei pastori che apre la seconda cantata e, nell’ultima, il corale Ich steh an deiner Krippen hier (“Io sono qui, alla tua culla”). Ma è pieno di momenti speciali: l’esplosione gioiosa di Jauchzet, frohlocket, il duetto tra due oboi e fagotto e due cantanti Herr, dein Mitleid, dein Erbarmen (“Signore, la tua compassione, la tua misericordia”), o l’aria con flauto Frohe Hirten, eilt, ach eilet (“Beati pastori, sbrigatevi, ah, sbrigatevi”), piuttosto impegnativa per il tenore. Questa musica arriva facilmente a ogni pubblico perché è così aperta, così piena di gioia: un bambino è nato! Bach, in quanto padre di venti figli, sapeva bene di cosa si trattava».
Secondo lei il pubblico italiano ascolta Bach in modo diverso dal pubblico di cultura tedesca?
«Il pubblico italiano è molto musicale. Quando eseguiamo a Milano l’Oratorio di Natale, le cantate o le Passioni, il pubmeglio blico capisce bene questa musica. Per gli italiani la “testa” tedesca non è un problema… Quando sui volti del pubblico si vedono la gioia e l’emozione di questa musica, si ha persino l’impressione che in Italia la si capisca ancora che in Germania, dove è tutto più severo. Per me Bach ha una parte fondamentale di gioia, non è solo cerebrale. E questo l’Italia lo sente bene».
Quanto la misura astratta e geometrica della musica di Bach rivela la sua personalità?
«È strano. Probabilmente alla fine della sua vita non era felice. E la sua permanenza a Lipsia fu costellata di problemi con la municipalità e il clero. Certo, lo stesso Bach non aveva un carattere facile. Ma nell’Oratorio di Natale vediamo Bach nel suo momento più bello. Lo vediamo felice. E lo capiamo quando vediamo Bach trascorrere un pomeriggio con il poeta Johann Christoph Gottsched bevendo un bicchiere di vino bianco (io preferisco il rosso) e fumare la pipa. È come lo schizzo di un momento particolarmente felice e armonioso nella vita nella casa di Bach, così piena di figli e di allievi. Quando ascoltiamo Bach ascoltiamo un musicista “socievole”. Sono certo che a chi abbia cantato o suonato la sua musica nel modo più bello e intenso possibile, lui abbia detto “Grazie molte”. Era una persona di cuore. E per questo che tocca il tuo cuore quando ti rivolgi a lui».