martedì 31 marzo 2009
Da venerdì in 300 sale «Gli amici del Bar Margherita» con Diego Abatantuono, Neri Marcorè, Laura Chiatti, Fabio De Luigi, Luigi Lo Cascio, Katia Ricciarelli, Gianni Cavina e Luisa Ranieri. Il regista: «I ragazzi allora non contavano nulla, così potevano sbagliare e crescere Non come accade oggi».
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Il «mitico» Bar Margherita, in realtà, non e­siste. O meglio: ne sono esistiti d’innume­revoli. «Erano tutti quei bar di una certa pro­vincia italiana degli anni 50, frequentati da un insieme straordinario di sciocchi 'eroi', il cui at­teggiamento oggi apparirebbe deplorevole ma che allora attraeva moltissimo i giovani. I qua­li cercavano d’imitarli investendovi tutta la pro­pria 'creatività', nel più assoluto disimpegno e nel totale disinteresse degli adulti, sperperan­do così con disinvoltura un’adolescenza spen­sierata ». L’adolescente protagonista che fre­quenta questo Bar Margherita viene chiamato «Coso». Ma potrebbe anche chiamarsi Pupi. «Questa non è esattamente la mia storia; ma non c’è dubbio che anche in questo personag­gio ci sia molto di me ragazzo – confessa Pupi Avati – So­prattutto per quel cinismo mi­sto alla gioiosità che è tipico di una certa adolescenza. E che ha messo insieme una stagio­ne nella vita di quelli della mia generazione». Gli amici del Bar Margherita, insomma – dal 3 aprile in 300 cinema – è il divertito 'amar­cord' del grande regista, a confronto coi 'miti' della pro­pria giovinezza incontrati e ammirati nel bar di via Sara­gozza, tra le vie della Bologna anni 50. Testimone-alter ego di Pupi è «Coso» (cioè Taddeo, interpretato da Pierpaolo Zizzi), un diciottenne che sogna di essere ammesso tra i mitici frequentatori del Bar: il misterioso e carismatico Al (Diego Abatantuono), il fanta­sioso Bep (Neri Marcorè) innamorato dell’en­traineuse Marcella (Laura Chiatti), il cantante Gian (Fabio De Luigi), il ladruncolo sessuofo­bo Manuelo (Luigi Lo Cascio); il tutto sotto il paziente sguardo tollerante della mamma (Ka­tia Ricciarelli) e del nonno (Gianni Cavina), in­namorato della prosperosa maestra di pia­noforte (Luisa Ranieri). «Per raccogliere questo gruppo eterogeneo ho messo insieme ricordi miei e dei miei amici, ri­percorrendoli con sguardo divertito, leggero, collegato a certe mie commedie sentimentali per la tv, come Jazz Band. Ma sempre attraver­so i miei occhi di oggi. Gli amici del Bar Mar­gherita, insomma – spiega Avati – è la storia di un dicottenne. Ma raccontata da un settanten­ne». Al centro del film, fa notare il regista, c’è pro- prio l’«essere giovani» di allora, così diverso dal­l’esserlo oggi. «Dalla metà degli anni 60 i giova­ni sono diventati gli interlocutori numero uno della politica e del commercio. Cinquant’anni fa, invece, i ragazzi vivevano nell’indifferenza to­tale degli adulti, non contavano assolutamen­te nulla. Così potevano compiere errori, biz­zarrie, stravaganze; trovare un’identità, indivi­duare la propria strada. Mentre oggi, apparen­temente messi al centro di tutto, si sentono ri­petere continuamente che non hanno pro­spettive, che per loro non c’è futuro». In un cinema italiano che «al 99,99 per cento parla del presente – considera inoltre il regista – qualcuno dovrà pur fare i conti col passato. Co­sì oggi mi sento un po’ la 'vestale' del tempo che è stato. E il ci confronto coll’oggi può aiu­tarci capire meglio noi stessi».
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