Paul Ranson, “L’Iniziazione alla musica”, 1889
Quello tra musica e arti visive è una storia di convergenze parallele. Gli artisti hanno sempre rappresentato musicisti in azione e strumenti musicali (le pale d’altare che siamo soliti chiamare “sacre conversazioni” appaiono più spesso mostrare un gruppo di persone in silenzioso ascolto della musica degli angeli) ma resta tutto sommato un soggetto tra gli altri. Così come non manca un lessico “pittorico” nella musica (si pensi al “canto figurato”, al “cromatismo” o ai “madrigalismi”, ossia la restituzione in modo icasticamente sonoro dell’immagine evocata dal testo).
Ma a partire dal terzo quarto dell’Ottocento e fino al secondo conflitto mondiale le cose cambiano e in modo sostanziale: è un periodo storico unico «sia perché conobbe un’autentica rivoluzione in entrambi i settori, sia per il fatto di essere stato caratterizzato da una quasi costante aspirazione a un’integrazione, o a un confronto, o a una ricerca di parallelismi, talvolta a una fusione, ovviamente esplicatasi in maniere assi differenti». Così scrive Paolo Bolpagni, uno dei principali studiosi italiani della questione e curatore della mostra “Vedere la musica” aperta in questi giorni a Rovigo, nella sale di Palazzo Roverella. Un’esposizione frutto di una lunga ricerca, composta da 180 lavori da musei internazionali e che, a differenza di altre mostre (come “Kandinsky-Cage” tre anni fa a Palazzo Magnani a Reggio Emilia, concentrata su “Musica e Spirituale nell’Arte”), è la prima in Italia ad affrontare il problema nella sua interezza e sotto questo aspetto appare come un punto fermo il volume pubblicato per l'occasione (Silvana), assai più che un catalogo.
Il tema, effettivamente, è enorme. Ci sono alcuni filoni di continuità con il passato ma connotati da novità di approccio. Uno di questi è, ad esempio, il passaggio dalla rappresentazione dell’atto del suonare o dell’ascolto a quella dell’esperienza della musica: un’esperienza radicale, capace di materializzare mondi e sollecitare violente reazioni dall’io più profondo. Non è un caso che questo rinnovato interesse coincida con la stagione del simbolismo, autentico punto di svolta della modernità (e anzi se lo svincoliamo dalla sua accezione strettamente cronologica, facendone una categoria estetica, possiamo dire che il simbolismo è vivissimo). I simbolisti sono i primi, con linguaggi e stili anche molto diversi, a spostare l’attenzione dal mondo esteriore a quello interiore, ponendo così di lato tutte le problematiche relative alle leggi della rappresentazione. Il simbolismo chiude gli occhi sull’esterno e li apre sull’interno dell’uomo, un luogo da cui emerge un flusso costante di emozioni, idee, pensieri del quale la musica, apparentemente, è stata sempre l’interlocutore privilegiato.
La musica – che sia eseguita o fruita – in questi lavori appare la chiave che apre le porte del mondo nascosto. Non è un caso che evocazione sia un termine ricorrente (in Klinger e Segantini, ad esempio), tanto di sfere celesti quanto di demoni conturbanti. Alla violenza persino fisica del “Potere della musica” Kokoschka intitola un dipinto, mentre per altri la musica è un percorso iniziatico. D’altronde Einfühlung (empatia, concetto formulato a Monaco da Theodor Lipps, le cui lezioni furono seguite dallo stesso Kandinskij), teosofia, esoterismo sono tra le costanti di questa epoca.
Il misticismo rivoluzionario wagneriano, filtrato attraverso la categoria del dionisiaco di Nietzsche, ha una vasta portata culturale nei decenni tra fine Ottocento e primi del Novecento: e al wagnerismo è dedicata un’intera sezione. I pittori wagneristi, anche grandissimi come Henri Fantin-Latour, molto ben presentato in mostra, non inseguono sotto il profilo visivo le rivoluzionarie tecniche e le problematiche filosofiche affrontate dalla musica. Il loro lavoro rispecchia piuttosto la fortuna del mondo mitologico suscitato da Wagner. L’incontro ravvicinato tra musica e arti visive passa altrove, per strade che convergono verso il Gesamtkunstwerk , l’“opera d’arte totale”: concetto wagneriano a cui tante avanguardie mirano – ma in un modo che sarebbe stato disapprovato dallo stesso Wagner.
Se già i simbolisti intitolavano i loro dipinti “sinfonie cromatiche”, è con il movimento verso l’astrazione che la musica diventa una “fonte” diretta per le arti visive. La Secessione a Vienna (santuario principe del vasto culto beethoveniano testimoniato dall’arte); Klee, eccellente violinista, il cui scopo è secondo Bolpagni è «confutare – sia nella riflessione estetica, sia nel concreto operare artistico – uno dei più comuni criteri di distinzione tra musica e pittura, cioè quello che risiede nella caratterizzazione della prima come forma d’espressione dispiegantesi peculiarmente nel tempo, e della seconda nello spazio»; Kandinskij, naturalmente, che intitola “Composizione” e “Improvvisazione” i suoi lavori e, se Schoenberg (pittore dilettante) teorizza in musica la Klangfarbenmelodie, la “melodia di suonicolori”, è il primo a ribaltare il parallelo e abbinare sinesteticamente colore, forma e timbro. Ma ancora i “ritmi” astratti dei futuristi, come Balla e Dudreville (senza dimenticare l’Intonarumori di Russolo, più strumento performativo che musicale in senso stretto), e le vibrazioni del cubismo, così attento al problema del tempo. Nella ricerca di una norma formale, l’astrazione, in particolare quella più radicalmente geometrica, si rivolge alle invisibili proporzioni, eppure apertamente esperibili, che governano la musica: nessuna delle opere in mostra lo testimonia come l’eleganza assoluta delle 14 variazioni su un tema pittorico che Luigi Veronesi realizza nel 1936.
Il riferimento al genere del tema e variazioni non è isolato. L’altro ancora più diffuso è quello della fuga (a cui aspira costantemente un artista strettamente legato alla musica come Kupka). Sono entrambe forme in cui il dato combinatorio è centrale, insieme a processi compositivi che germinano strutture complesse a partire da un gruppo ristretto di elementi. Bach è il nome a cui tutti guardano, ed è forse paradossale che l’astrazione, la maggiore novità dell’arte del primo Novecento, si radichi nel più “antico” dei compositori. La mostra si ferma al 1940. Dopo la guerra le cose cambiano. Il mondo si allarga e si trasforma. La musica “classica”, “colta” o “scritta” non è più il diretto interlocutore degli artisti. A prenderne il posto sono le voci del “nuovo mondo”: lo swing del jazz e il pop/rock, colonna sonora della cultura di massa.
Rovigo, Palazzo Roverella
Vedere la musica L’arte dal simbolismo alla avanguardie
Fino al 4 luglio