La storia, quella di un adolescente che attraversando luoghi aspri e misteriosi dovrà affrontare le proprie paure dimostrando agli altri, ma soprattutto a se stesso, ciò di cui è veramente capace, farebbe de
Il viaggio di Arlo, distribuito dalla Disney nelle nostre sale il 25 novembre, il cartone animato più tradizionale della Pixar. Per la sua opera sedicesima la compagnia guidata dal John Lasseter ha infatti scelto una coppia tutt’altro che insolita nel panorama cinematografico, quella formata da un ragazzino e dal suo cucciolo, protagonisti di un avventuroso romanzo di formazione e crescita. Ma una delle cose a cui ci ha abituato la Pixar sin dai suoi primi cortometraggi è la non convenzionalità dei personaggi, l’audacia delle loro relazioni – pensate solo all’amicizia tra l’anziano e il piccolo scout grassottello in
Up o alle emozioni del recentissimo
Inside out – e quindi ecco che il ragazzino in questione è in realtà un giovane dinosauro fifone e il cucciolo un piccolissimo umano che invece di coraggio ne ha da vendere. Inizialmente nemici, i due troveranno proprio nel legame che li unisce la forza per superare ogni avversità. Diretto da Peter Sohn, il film immagina che la Terra abbia schivato per un pelo l’asteroide causa dell’estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa e che i lucertoloni abbiano sviluppato un’avanzata e laboriosa società agraria dove l’uomo non è più in cima alla catena alimentare, ma dove la pacifica convivenza tra razze diverse è possibile. In questa sorta di “Jurassic farm”, fattoria giurassica a conduzione familiare, vive Arlo con il padre Papo, la madre e dei fratelli decisamente più intraprendenti di lui. Suo padre lo spinge a dimostrare il suo valore, a essere meno vulnerabile e spaventato. Arlo ci prova, non ce la fa, si arrabbia e un incidente lo spingerà lontanissimo da casa. L’unica speranza di farci ritorno è quella selvaggia creaturina che risponde al nome di Spot, ringhia come un cagnolino e non sembra aver paura di niente. E preparate i fazzoletti perché i due saranno protagonisti di una delle scene più commoventi viste nel cinema di animazione forse dai tempi di
Bambi e
Dumbo. In una radura, di notte, intorno al fuoco, Arlo soffre per la mancanza della sua famiglia. E dal momento che Spot sembra non capire, il giovane dinosauro traccia un cerchio all’interno del quale pianta dei bastoncini che rappresentano genitori e fratelli. Allora il piccolo Spot fa altrettanto, e poi seppellisce due dei suoi tre bastoncini, dicendoci in silenzio e tra le lacrime che mamma e papà non ci sono più. A questo punto anche Arlo seppellisce un bastoncino perché suo padre è morto proprio poco prima che l’incidente lo allontanasse da casa. Una scena dolcissima e straziante che dice tante cose sull’infanzia, la famiglia, la perdita dell’innocenza, la maturità e il doloroso tema della mortalità, insistendo non sulla tragedia che ha ucciso persone care (come accade ne
Il re Leone), ma mettendo in scena una commovente elaborazione del lutto sullo sfondo di una natura maestosa e spettacolare. Sì, perché il paesaggio è un altro dei grandi protagonisti del film che ci offre un mondo fotorealisticamente attento ai dettagli (realizzato scaricando immagini satellitari) dove si muovono personaggi stilizzati e cartooneschi. E dove anche un dinosauro può sentirsi minuscolo. Il Nordovest americano in versione preistorica fa de
Il viaggio di Arlo un appassionante, epico western ricco di avventura e umorismo, tra tirannosauricowboy allevatori di bufali, quiete scene pastorali e predatori che ricordano la ferocia delle leggi di una natura, sostegno e sfida al tempo stesso. Così, vuoi per la bellezza delle immagini, vuoi per la semplicità della sceneggiatura,
Il viaggio di Arlo diventa un film di grande potenza evocativa, che va dritto al cuore dei sentimenti e delle grandi domande dell’uomo su vita, morte e destino su questa terra. Una favola attenta più di altre al pubblico dei piccolissimi, ma capace di offrire tanti stratificati livelli di lettura al pubblico adulto. «Anche quando ci accostiamo a temi ampiamente esplorati – ci ha raccontato Kelsey Mann,
story supervisor del film – ci sforziamo di farlo da punti di vista diversi e insoliti. Questa volta l’amicizia è osservata rovesciando il rapporto tra mondo umano e animale. Appartiene invece alla tradizione il percorso di formazione dei due protagonisti, giovani che, come accade in molte culture, vengono abbandonati per alcuni giorni nella foresta dove dovranno diventare uomini». E a proposito dei luoghi del film aggiunge: «Alla Pixar le ricerche sulle
location sono importantissime, per questo soggiorniamo a lungo nei luoghi che poi racconteremo. Non solo per osservare colori, luci, polvere, cielo e terra, ma per sentire sulla nostra pelle le emozioni che questi luoghi suscitano, scavando nella nostra vita, nei ricordi e nelle esperienze. E il Nordovest americano ci ha ricordato l’insignificanza degli uomini di fronte alla grandiosità del creato».