Non c’è un’opera di Aristofane che non sia intrisa di una profonda passione civile e politica, nel senso più autentico dei termini. Perfino le più aeree, a fantasia sfrenata, le più surreali e metafisiche e mitiche, come le Nuvole o Gli uccelli, sono le satire più sorprendenti che siano state inventate nel gioco del paradosso: una reazione a catena che non finisce mai, di fronte all’assurdità, alla stupidità, all’egoismo, al sopruso dei singoli, delle città, di quella Atene che in perenne lotta contro Sparta sta vorticosamente precipitando verso l’auto-annientamento con la guerra del Peloponneso: dissidi interminabili, rotazioni di regimi demagogici e oligarchici, altro che democrazia, sanguinose battaglie, perdite di libertà, pur essendo scampati dall’invasore persiano grazie all’eroico sforzo comune, ma pronti a finire in bocca ai macedoni.
Quello di Aristofane è un mondo plurale, un brulichio di voci, di caratteri, a specchio della società contemporanea, che più sono parossisticamente aderenti alla realtà, più viaggiano verso l’universale. Aristofane, un genio del realismo fantastico, che usa la parodia con l’esuberanza e la disinvoltura di chi sa muoversi tra cielo e terra, tra l’infimo e l’altissimo, con la pesantezza e la leggerezza che solo il teatro di Shakespeare potrà avere. Lo guidava il senso dell’unità, del principio, dell’ordine, del piacere e della bellezza, tutti nascosti, proprio segreti, nello straripante mondo che raffigurava portando sempre all’estremo ogni tensione, ogni plurale possibilità.
Le tre commedie di Aristofane che hanno protagoniste le donne, scritte dal 411 al 391, sono al plurale. Contemporanea alle Tesmoforie (411) e pur avendo una protagonista guida, anche Lisistrata mette in scena un intero genere ( Valla Mondadori, ottima cura di Franca Perusino, efficace traduzione di Simone Beta: pagine 350, euro 50). Se dagli Acarnesi e dalla Pace Aristofane percorre tutte le strade per illustrare l’insensatezza comune che lo farà volare attraverso le Nuvole, e con gli Uccelli per descrivere i sofismi che sgretolano il buon senso e per colpire perfino Socrate; se si innalza in utopie e ribellioni e fughe del mondo fino a Nubicuculia, come il miglior antenato di Swift - mentre scenderà fin nell’Ade con Dioniso per riportare la poesia dell’odiosamato Euripide e di Eschilo sulla terra rovinata - con la trilogia al femminile Aristofane compie un viaggio altrettanto u- topistico e impercorribile: quello delle Amazzoni, o del governo femminile, in una escalation inarrivabile sotto tutti gli aspetti della immaginazione reale, fisica e prorompente, con le ali di quel dio Riso al quale credette Apuleio, e che Fellini onorò sempre, rinominandolo apposta nel Satyricon.
Nelle Tesmoforieil bersaglio femminile è un Euripide che ne mostrerebbe troppi difetti, ma poi se ne esce con la sua Elena in palinodia, e il gioco aggressivo finisce con un ritorno a casa, nell’ordine primitivo. Lisistrata bersaglia la dissennata litigiosità dei maschi guerrafondai, che più sono sobri e razionali, più trovano pretesti e cavilli di guerra, mentre la grande, saggia ebbrezza dionisiaca, di cui le donne sembrano le segrete protettrici, con il loro piacere inebriante, porta una sapienza superiore, la conciliazione e quella pace 'irragionevole', che è l’unica via per la salvezza.
Perciò usano a ricatto l’estremo rimedio, quello dell’astensione dal sesso - e, se costrette, dal piacere - chiamando tutto il genere femminile delle città nemiche, Atene e Sparta, a giurare il patto di astinenza che dispiace a loro stesse, ma costringerà gli uomini a cessare la loro bellicosità, in nome del theleian kyprin, il piacere femminile, l’estasi dei riti della notte, sacri ad Afrodite. Come nelle Tesmoforie, la volgarità e l’oscenità si sfrena: cori di vecchi che portano il fuoco contro cori di vecchie che minacciano d’inondarli d’acqua per impedirgli di riprendere l’Acropoli di cui si sono impossessate con il tesoro che serve alla guerra, tra gli insulti e le scene più volgari, i quadri esilaranti della frustrazione del desiderio sceneggiati dalla coppia di Cinesia e Mirrina, e l’incontro degli ambasciatori resi impotenti dallo stesso urgere del loro classico strumento di potenza, il fallo. Lisistrata vincerà, anche sulle sue stesse amiche che non reggono la prova e tentano di defezionare con pretesti ridicoli; fiera di essere nominata con il proprio nome, per la virtù di un amore di patria superiore, con la splendida educazione che lei e le compagne hanno ricevuto. È riuscita a evitare la guerra. Ritorna all’ordine che accetta.
Come scrive Franca Perusino, « Lisistrata è una commedia al femminile, non una commedia femminista». Pochi anni dopo, nel 391, in quell’Atene decaduta e turpe, che le ombre di Eschilo e Sofocle, di Socrate e Platone hanno disertato, Le donne all’assemblea si spingeranno oltre. Le donne mascherate da uomini conquistano la maggioranza e impongono il comunismo, economico ed erotico. I giovani, prima di accoppiarsi con le coetanee, devono soddisfare le vecchie. È il trionfo della parodia più travolgente, che non risparmia nulla, nemmeno l’oscenità, le idee, il senso del mondo, lo stesso autore.
Certo, Aristofane non può accarezzare un pensiero femminista. Ma pur seguendo la molteplicità e la mutevolezza delle Nuvole, lo concepisce: non possiamo non vedere che queste commedie al femminile sono quanto di più ardito sia stato immaginato nei secoli. Di recente, l’ornitologo Richard O. Prum nell’Evoluzione della bellezza (Adelphi) cita l’esempio di Lisistrata per sostenere che l’evoluzione estetica, non quella adattativa, conta di più, ed è stata messa in atto dal genere femminile, anche per fare smorzare al partner maschile l’aggressività.
La scelta estetica non è tanto quella visiva, quanto quella legata alla sinestesia del piacere. Come sostiene Lisistrata, se le donne dovessero subire l’atto sessuale e non partecipassero col loro stesso piacere, gli uomini se ne stancherebbero presto. La reciprocità dell’eros, sostenuta in concordia da Lisistrata e dall’etologo Prum sembra ovvia e naturale, ma, chissà perché, nei secoli non tutti l’hanno pensata così. Anzi! L’aveva pensato il meraviglioso Aristofane, l’unico a cui Platone nel Simposio fa spiegare l’eros col mito degli esseri sferici primordiali, tragicamente segati in due da Zeus per la loro superbia, le cui metà non finiscono di attrarsi da allora, in conflitto.