« Io sono un nonno, questa volta è la prima mia qualifica». Scherza, ma non troppo lo psichiatra Vittorino Andreoli che debutta stasera su Sat 20000 alle 20 con un nuovo programma sulla società di oggi, dal titolo esplicito W i nonni. In 14 puntate, sull’emittente dei cattolici italiani, il sabato, e in replica martedì alle 22.10 e venerdì alle 9.55, Andreoli proporrà un affascinante viaggio tra psicanalisi, letteratura, religione e sociologia, tutto dalla parte dei nonni, dopo aver affrontato, sempre per Sat2000, il rapporto tra genitori e figli e il mondo degli adolescenti.
Professore, è venuto il momento di parlare degli anziani in tv. «La prima ragione è che sono vecchio e ho una grande simpatia per questa fase dell’età che non considero affatto, come diceva Seneca, 'una malattia'. E racconterò, quindi, molto di me. Questa nuova serie tv sui nonni vuole spiegare una figura sempre più importante in questo panorama sociale. Se ci sono ancora dei frammenti di saggezza in questo pazzo mondo bisogna ringraziare i nonni. Occorre stare con loro e ascoltarli».
In realtà gli anziani non sembrano purtroppo avere molta voce in capitolo ai giorni nostri. «Ed è un errore gravissimo. Questa serie mostra come 'usare' i nonni in una società che cerca di buttarli via. Per esempio, bisogna far capire che i nonni hanno una funzione fondamentale per i nipoti. Hanno una visione del mondo che aiuta l’educazione, si pongono con molta modestia vicino ai padri e alle madri per far crescere i figli».
Spesso è vero che i nonni vengono "usati", ma come comode baby sitter gratuite. «È finita l’epoca di pensare che è meglio una baby sitter diplomata che un nonno, perché l’educazione passa attraverso i sentimenti, gli affetti. I nonni potranno non essere aggiornati sulle ultime novità pedagogiche, ma hanno una ricchezza umana insostituibile. Però non bisogna ridurli a baby sitter, con il genero che dice loro cosa fare o non fare. Non trasformiamo il nonno in un lavoratore, ma in una figura utile nella famiglia. Purtroppo nelle case di oggi, anche per ragione di spazi, non c’è più posto per loro: i nonni sono stati sfrattati dall’architettura».
Come sono articolate le puntate? «Le puntate durano mezz’ora e sono divise in due parti. Nella prima racconto quali sono le caratteristiche dei nonni, nella seconda racconto la storia di uno di loro. Vado dalla letteratura a storie vere che ho conosciuto durante il mio lavoro di psichiatra».
E che tipi sono i nonni di oggi? «I tipi sono i più disparati. Mi fanno un po’ tristezza quelli affetti da giovanilismo, quelli che non vogliono essere vecchi. Invece la vecchiaia è bella se non è sola, se è utile. I primi oggi che vogliono che nascano i bambini sono proprio loro. Purtroppo ci sono anche storie molto tristi, di anziani soli o sfruttati».
Ma la televisione, che vive del mito della giovinezza, come li tratta? «I nonni in tv non ci sono, o ne fanno delle macchiette, mentre sono essenziali alla dinamica della famiglia e della società. Noi usciamo da una società in cui vecchio sigificava malato e che ha fatto nascere i luoghi in cui morire. Mentre la salute del nonno, anche quella fisica, è legata alle relazioni. Quando a 65 anni si va in pensione, c’è il lutto per la funzione sociale persa, ma in questo momento parte la grande professione degli affetti».