sabato 7 marzo 2009
Lo psichiatra: «Spiego una figura essenziale per la società e la famiglia di oggi spesso sottovalutata e usata solo come baby sitter»
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« Io sono un nonno, questa volta è la prima mia qualifi­ca». Scherza, ma non trop­po lo psichiatra Vittorino Andreoli che debutta stasera su Sat 20000 alle 20 con un nuovo programma sulla società di oggi, dal titolo esplicito W i nonni. In 14 puntate, sull’emittente dei cattoli­ci italiani, il sabato, e in replica martedì alle 22.10 e venerdì alle 9.55, Andreoli proporrà un affascinante viaggio tra psicanalisi, letteratura, religione e so­ciologia, tutto dalla parte dei nonni, dopo aver affrontato, sempre per Sat2000, il rapporto tra genitori e figli e il mondo degli adolescenti. Professore, è venuto il momento di parlare degli anziani in tv. «La prima ragione è che sono vecchio e ho una grande simpatia per questa fase dell’età che non considero affat­to, come diceva Seneca, 'una malat­tia'. E racconterò, quindi, molto di me. Questa nuova serie tv sui nonni vuole spiegare una figura sempre più im­portante in questo panorama sociale. Se ci sono ancora dei frammenti di saggezza in questo pazzo mondo bisogna ringraziare i nonni. Occorre stare con loro e ascoltarli». In realtà gli anziani non sembrano purtroppo avere molta voce in capi­tolo ai giorni nostri. «Ed è un errore gravissimo. Questa se­rie mostra come 'usare' i nonni in u­na società che cerca di buttarli via. Per esempio, bisogna far capire che i non­ni hanno una funzione fondamentale per i nipoti. Hanno una visione del mondo che aiuta l’educazione, si pon­gono con molta modestia vicino ai pa­dri e alle madri per far crescere i figli». Spesso è vero che i nonni vengono "u­sati", ma come comode baby sitter gratuite. «È finita l’epoca di pensare che è me­glio una baby sitter diplomata che un nonno, perché l’educazione passa at­traverso i sentimenti, gli affetti. I non­ni potranno non essere aggiornati sul­le ultime novità pedagogiche, ma han­no una ricchezza umana insostituibi­le. Però non bisogna ridurli a baby sit­ter, con il genero che dice loro cosa fa­re o non fare. Non trasformiamo il nonno in un lavoratore, ma in una fi­gura utile nella famiglia. Purtroppo nelle case di oggi, anche per ragione di spazi, non c’è più posto per loro: i non­ni sono stati sfrattati dall’architettu­ra». Come sono articolate le puntate? «Le puntate durano mezz’ora e sono divise in due parti. Nella prima rac­conto quali sono le caratteristiche dei nonni, nella seconda racconto la sto­ria di uno di loro. Vado dalla letteratu­ra a storie vere che ho conosciuto du­rante il mio lavoro di psichiatra». E che tipi sono i nonni di oggi? «I tipi sono i più disparati. Mi fanno un po’ tristezza quelli affetti da giova­nilismo, quelli che non vogliono esse­re vecchi. Invece la vecchiaia è bella se non è sola, se è utile. I primi oggi che vogliono che nascano i bambini sono proprio loro. Purtroppo ci sono anche storie molto tristi, di anziani soli o sfruttati». Ma la televisione, che vive del mito della giovinezza, come li tratta? «I nonni in tv non ci sono, o ne fanno delle macchiette, mentre sono essen­ziali alla dinamica della famiglia e del­la società. Noi usciamo da una società in cui vecchio sigificava malato e che ha fatto nascere i luoghi in cui morire. Mentre la salute del nonno, anche quella fisica, è legata alle relazioni. Quando a 65 anni si va in pensione, c’è il lutto per la funzione sociale persa, ma in questo momento parte la gran­de professione degli affetti».
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