La forza dei grandi, in tutti i campi, si misura nella loro semplicità. In quello di calcio, grande è colui che pur avendo vinto un campionato del mondo, ha conservato la stessa umiltà di quando era il ragazzino dell’oratorio di Rebbio (Como) e sognava di diventare come il suo idolo, Roberto Baggio. Stiamo parlando di Gianluca Zambrotta, 34enne ex ala nel Bari di Fascetti, poi esterno di centrocampo alla Juve (lo pagò 30 miliardi nel ’99) terzino al Barcellona e infine in questo Milan che si è appena cucito al petto il 18° tricolore della sua lunga storia di club più titolato al mondo.
Dopo lo scudetto, adesso il primo pensiero non è vincere la Champions, che non ha mai conquistato, ma volare a Napoli...«Vado per Fondazione Milan dai bambini della Polisportiva Europa. Organizzeremo delle scuole calcio e porteremo la cultura del fairplay, attraverso il gioco, in quei quartieri a rischio di una città che conosco bene. Mia moglie Valentina è napoletana e la mia carriera è cominciata a Bari dove ci sono realtà difficili e il pallone spesso diventa un motivo di riscatto, un modo per evitare di finire sulla strada, come dimostra la storia di Cassano».
Come nasce calcisticamente il campione del mondo Zambrotta?«Ho cominciato a 9 anni nell’oratorio, nella squadra dell’Us Alebbio e il primo allenatore che ho avuto è stato mio padre Alberto. Poi a 12 mi hanno visto quelli del Como e sono entrato nel loro settore giovanile».
Leggenda o verità che il piccolo Gianluca prima degli allenamenti al Como si faceva prendere da misteriosi mal di pancia?«Vero e c’era un motivo, era la scusa per tornare a casa prima e poter giocare con gli amici dell’oratorio. I mal di pancia sono spariti quando ho incontrato degli educatori, prima che dei tecnici, come Mino Favini che mi hanno fatto capire l’importanza degli allenamenti e dei sacrifici che bisogna compiere per arrivare ad essere un calciatore professionista».
Si paga un prezzo alto per diventare un privilegiato del dorato universo del pallone?«La gente spesso giudica i calciatori solo dai loro guadagni, senza rendersi conto che quei soldi sono proporzionali all’indotto economico che ognuno di noi crea alla società per cui gioca. E poi per arrivare a questi livelli posso assicurare che si rinuncia a un pezzo di adolescenza, si viene catapultati da ragazzini nel mondo adulto. Io per non deludere i miei genitori e prendere il diploma di perito tessile, dopo gli allenamenti anche se ero sfinito mi mettevo a studiare. Spesso mia madre nel cuore della notte mi ritrovava addormentato sui libri».
Lei ha giocato al Barcellona, c’è qualcosa che accomuna il club catalano al Milan?«L’organizzazione e la mentalità vincente. Di più fino, ad oggi, il Barcellona ha questa magnifica “cantera” da cui sono usciti fenomeni come Messi, Iniesta, Xavi, Pedro e tanti altri ragazzi che giovanissimi sono già alla ribalta a livello internazionale».
Messi merita il terzo Pallone d’Oro di fila?«Ho avuto la fortuna di giocare con tanti campioni, da Zidane a Del Piero nella Juve, con Totti in Nazionale, ma Messi è il più grande di tutti. Penso che a fine carriera avrà una collezione di Palloni d’Oro».
In tanti anni di carriera, chi sono i compagni a cui è rimasto più legato?«Pessotto e Thuram, oltre che due amici sono due belle persone che hanno rappresentato e rappresenteranno sempre dei punti di riferimento per me, anche lontano dal campo di calcio».
Due pilastri di quella Juve che lasciò quando venne retrocessa in B per i fatti di Calciopoli. Tanti gli diedero del “traditore”.«Veramente il “tradito” ero stato io che insieme a miei compagni mi sono visto negare due scudetti strameritati sul campo. Calciopoli uguale arbitropoli? Da quando gioco gli arbitri commettono più o meno gli stessi errori, se pensiamo che lo fanno in malafede allora tanto vale chiudere i campionati».
In quella sua Juve c’era Zlatan Ibrahimovic, come lo ha ritrovato in rossonero?«Ibra era già un fuoriclasse, adesso al Milan è più maturo e anche più forte. Un difetto di Zlatan? Se vogliamo considerarlo tale, il fatto che si arrabbia anche quando perde in allenamento».
E Antonio Cassano sta maturando a Milanello?«Antonio comincia ad andare verso i trent’anni, è appena diventato papà, se non cresce adesso e in un ambiente come questo, quando e dove dovrebbe farlo?».
Con Prandelli, Cassano è tornato in Nazionale, lei non sogna un ultimo Europeo nel 2012?«Prandelli sa che io non ho mai detto addio alla Nazionale. Nel 2012 avrò 35 anni, ma se starò bene fisicamente e qualcuno mi chiama io sarò a disposizione. Ho 98 presenze, riuscire ad arrivare a 100 partite in azzurro per me varrebbe quanto la laurea che non ho preso».
Mondiale del 2006 a parte, qual è stata la domenica più bella della sua vita?«Il famoso 5 maggio 2002, il mio primo scudetto vinto con la Juve in rincorsa sull’Inter di Cuper. Questo con il Milan è un’altra storia, ma ha un valore importante perché arriva 5 anni dopo quello che mi hanno ingiustamente strappato dal petto».
Che sensazione le ha fatto vedere passare Leonardo all’Inter?«Con Leonardo non mi sono trovato bene, ma il fatto che sia passato all’Inter è come quando un calciatore segna alla sua ex squadra ed esulta, non possiamo mica scandalizzarci. Leonardo ha fatto la sua scelta e noi l’abbiamo rispettata. Così come penso lui abbia accettato sportivamente il nostro 3-0 al derby che ci ha spianato la strada verso questo 18° scudetto».
Il presente adesso dice Allegri che come Sacchi e Capello ha vinto al primo colpo.«Allegri è uno che si spende tanto per la squadra, sta facendo un percorso netto che accosterei a quello di Guardiola al Barcellona, partito dalla squadra C per arrivare a conquistare il mondo. Allegri può fare lo stesso, ha un gruppo con cui ha aperto un nuovo ciclo e che lo aiuterà a realizzare tutti gli obiettivi futuri».
E il futuro di Zambrotta dopo giugno 2012, quando scadrà il contratto con il Milan?«Sto lavorando alla realizzazione di un centro polifunzionale vicino Como, con scuole calcio, nuoto e tennis per trasmettere un messaggio: la pratica sportiva e la cura del proprio fisico aiutano a vivere meglio».