«Super è chi se lo merita. Super è chi scende in campo e vince e, partita dopo partita, conquista sempre un punto in più degli altri. Super è chi non fa dello sport un regno economico, ma chi fa dello sport un giardino di talenti accompagnati a dare il meglio di sé». Parole perentorie quelle di don Gionatan De Marco, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale dello sport, tempo libero e turismo della Conferenza episcopale italiana, all’indomani dell’annuncio del progetto Superlega.
«Nulla sarà più come prima – aggiunge con amarezza –. Della scelta che i 12 club hanno fatto non dovrebbe tanto preoccupare il “fatto”, quanto ancor di più dovrebbe preoccupare quell’auto celebrarsi come Super... E mentre ci sono società sportive che si autotassano per acquistarsi le magliette per dare la possibilità ai propri giocatori di scendere in campo e dare il meglio di sé, ci sono società sportive che si creano il loro hotel di super lusso, circuito chiuso di business rinchiusi in interessi di parte».
«Nella superlega dei ricchi perde solo lo sport» titolava intanto ieri l’Osservatore Romano, nel cui articolo sul caso che scuote il mondo del calcio e la società si legge: «I soldi, i troppi soldi, finiscono spesso per rovinare tutto. Anche le cose più belle. Perché i soldi, la possibilità di poter comprare tutto o quasi, sono il contrario dei sogni».