Improvvisa, inattesa, proprio alla vigilia del suo ritorno in Italia, al Festival dei Due Mondi di Spoleto con una delle sue ultime produzioni in anteprima mondiale il 4 luglio, Bamboo Blues, dedicato all’India, giunge la notizia della tragica scomparsa di Pina Bausch l’artista che più di altri nel Novecento rivoluzionò il concetto della danza allargandone fino agli estremi le prospettive artistiche. È scomparsa a 68 anni stroncata inaspettatamente da un tumore diagnosticato appena cinque giorni prima. Personaggio, la Bausch, alla quale sono debitori decine e decine di artisti. È difficile infatti immaginarsi che cosa sarebbe stato il mondo della danza dell’ultimo mezzo secolo senza la paradigmatica esperienza e creatività di Philippina (detta Pina) Bausch nata nel 1940 a Solingen una cittadina industriale tedesca vicino a quella Wuppertal dove avrebbe poi trovato sede la sua famosa compagnia ancora oggi faro europeo. Cresciuta alla scuola del grande Kurt Jooss, padre fondatore della danza espressionista, e maturata a New York sia al New American Ballett sia al Metropolitan Opera, questa geniale artista dall’inconfondibile silhouette sottile e dall’effigie esangue, sofferente come in preda all’imminente consunzione ma in realtà potente cori- fea di quel che per definizione si chiama Tanztheater, é riuscita infatti a modificare gli orizzonti culturali ed estetici della danza contemporanea guadagnandosi non solo una schiera infinita di imitatori ma anche un pubblico insospettabile. Forse il pubblico più nuovo e più largo che qualsiasi altro coreografo del nostro tempo abbia attirato a sé. Sviluppando meccanismi molto personali la Bausch ha modificato in maniera del tutto inedita i concetti di tempo e spazio teatrale. Per dare corpo a questi concetti a usare una gestualità immediata e forte, di crudo impatto, tale da provocare nello spettatore una grande partecipazione emotiva, assoluta e spesso violenta. E tutti i suoi spettacoli , anche quelli meno riusciti, e soprattutto dell’ultimo decennio, a dimostrarlo, a cominciare da Café Muller. Il suo indiscutibile capolavoro risalente al 1978 e quasi subito apparso anche in Italia anche se in veste di danzatrice la Bausch si era già vista negli anni precedenti e proprio a Spoleto. La prima, il sorprendente Café Muller, diventato quasi subito un vero 'cult ballet', di tante opere straordinarie. che poi avrebbero fatto parte della sua agiografia e viste in tutto il mondo. Un lavoro di soli quaranta minuti ma perfetto Café Muller dove in un ambiente scarno popolato solo da una serie di sedie lo spossante inseguimento di tre coppie si sublima in una coazione senza contatto, che insegue il distacco, l’amore, la morte. Il tutto agito nell’immobilità del tempo e delle emozioni. Una lunga catena di opere quelle lasciateci dalla Bausch, dove fra le più interessanti e tuttora validissime é giusto almeno ricordare, oltre ad una celebre e di grande vigore espressivo versione della stravinskiana Sagra della primavera, così come Nelken, come Blaubart, come 1980 ( forse il suo lavoro più struggente), come Bandoneon, come Kontakthof. Quest’ultimo una storia di vite vere intrecciate alla vita di uno spettacolo memorabile e dal ritmo perfetto. Così me la serie di lavori dedicati alle città più famose al mondo, vedasi Viktor un omaggio a Roma. E Fellini la volle nella parte di una contessa non vedente ne E la nave va. Davvero poche personalità come quelle della Bausch hanno influenzato un’arte che da secoli continua ad essere la più fulgente e legata alla vita e che sempre é pronta a rinnovarsi.