Luca Pulino - .
Tutto quello che nel 2002 sapevo sulla Sla - Sclerosi laterale amiotrofica - (molto poco) me lo insegnò in un solo giorno Luca Pulino. E lo fece senza neppure parlare. Perché Luca, come tutti i malati di Sla sottoposti a tracheotomia, parlava esclusivamente con gli occhi. E i suoi, scuri e profondi come il mare, hanno parlato fino a ieri. A cinquant’anni, li aveva compiuti il 27 gennaio scorso, Luca vola via oltre quelle nuvole che sono le stesse che aveva voluto mettere nella schermata del suo sito "Le porte della speranza". Altra parola chiave del suo vocabolario silenzioso, «Speranza». Luca in quasi vent’anni di stoica resistenza alla malattia, la speranza non solo non l’ha mai persa, ma l’ha insegnata a tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di entrare nella "Casa Azzurra".
Luca Pulino - .
L’ho chiamata così la prima volta che da fuori ho visto la casa dei Pulino. Gente speciale, come il popolo di Capranica, la cittadina tra Viterbo e Roma, che al suo Luca non lo ha mai abbandonato un solo istante. L’hanno abbracciato fisicamente e con il pensiero in tutto questo tempo di resistenza condivisa, e spesso la piazza o lo stadio di Capranica si sono trasferiti, con gioia fraterna, nella sua stanza. La stanza del figlio di Antonietta e Terenziano, il fratellone amato e coccolato dai suoi fratelli Giuseppe e Nicoletta e la piccola squadra dei nipoti che andavano a sdraiarsi sul letto dello zio Luca. Il capitano coraggioso (come Leo Volturno, capitano del Potenza Calcio anni ’90, morto di Sla a 50 anni nei giorni scorsi) della squadra del paese, il Capranica. Un numero "10", a prescindere.
Nell’album Panini non troverete mai il nome di Luca Pulino, così come non c’è quello di Leo Volturno, ma vi assicuro che questi sono dei piccoli eroi esemplari, anche del calcio. Luca, avrebbe tanto voluto giocare con la maglia della sua amata Lazio, ma dal 23 febbraio 2002, giorno in cui gli hanno diagnosticato quello che da tempo abbiamo ribattezzato il "Morbo del Pallone" (l’incidenza di malati nella popolazione calcistica è nettamente superiore alla media) non ha più toccato un pallone. Eppure, non ha mai smesso di scendere in campo. Fughe da fermo, dal suo letto, da dove è diventato il "10" della Nazionale di tutti i malati di Sla. Un punto di riferimento contro quella che l’ex azzurro Stefano Borgonovo chiamava «la Stronza» e che per Luca invece era «la maledetta bastarda». Un male oscuro, ancora misterioso per la Scienza, che gli ha tolto tanto, ma nonostante tutto, Luca non ha mai mollato.
Da ex ragioniere di banca (capoufficio al locale Credito Cooperativo) ha fatto i conti alla Sla, l’ha studiata e ha dato risposte a tutti quelli che brancolavano nel buio della malattia. Ha continuato a segnare nelle coscienze, ed è andato in Rete. Con l’inseparabile amico Claudio Crocicchia, Luca ogni giorno al risveglio apriva la sua unica finestra sul mondo, il sito costruito insieme, www.leportedellasperanza.it che è anche la testata del bimestrale che inviava gratuitamente in tutta Italia. Lì dentro c’è la sua filosofia di vita che, ora più di ieri, va letta, riletta e tramandata. Sono le pagine preferite dei ragazzi della Romaria, la Scuola Calcio Luca Pulino. Un regalo che gli fecero nel 2011 per i suoi quarant’anni.
Luca Pulino - .
E quando gli comunicarono la nascita di questa splendida realtà di calcio giovanile, Luca rispose con la sua splendida ironia: «Finalmente si intitola qualcosa a qualcuno quando è ancora vivo». Sorriderà ora, tra le lacrime per l’amico volato via, Mauro Romagnoli, il fondatore e allenatore della Romaria, insieme a Lillo Puccica che aveva fatto traslocare la Romaria da Sutri a Capranica. Quel giorno dell’inaugurazione della Scuola Calcio Pulino erano presenti anche Marisa, la prima insegnante di Luca, e il parroco, don Antonio. «Io non mi arrendo mai, questa malattia lo sa. E il giorno che l'avrò sconfitta, ho promesso a tutti che darò una grande festa, come questa...», disse quel giorno al centro del campo sportivo della Romaria, dove oggi (alle 15.30) verranno celebrati i funerali.
E saranno in tanti ad andare a salutare per l’ultima volta questo simbolo di speranza e d’amore per la vita che non a caso aveva intitolato la sua autobiografia E il meglio deve ancora venire (La Caravella Editrice). Un manifesto esistenziale in cui Luca scriveva: «La malattia non si è mai fermata, ma neanche io. Ho dovuto cambiare il mio modo di giocare. Per necessità. Ho dovuto cambiare la mia personalità. Perché costretto».
Marcato a uomo dalla Sla per tanto tempo, prendendo calci dolorosi come quando scendeva in campo con il Capranica, ha solo cambiato modulo e prospettiva e a quegli attacchi del Morbo ha risposto con il sorriso degli uomini verticali. Dopo ogni entrata assassina della Sla, si è sempre rialzato, invitandoci a farlo anche noi. Luca ci ha insegnato a difendere il bene più prezioso, la vita. «Si dice spesso che la vita è una cosa unica, e io credo davvero che sia così, perciò voglio lottare fino all'ultimo respiro, per riprendermela». Forse non è andato tutto perso, forse all’ultimo respiro, Luca ce l’ha fatta.