Lo Stadium 974 di Doha, che prende il nome dai 974 container navali su cui poggiano le tribune - Reuters/Marko Djurica
Il calcio d’inizio di Qatar 2022 è stato dato cinque anni prima dell’assegnazione del Mondiale “farsa”, avvenuta nel 2010. Infatti nel 2005 il plenipotenziario nazionale, l’emiro Hamad bin Khalifa Al-Thani ha istituito il fondo sovrano Qatar Investiment Authority. Da quel momento come sottolinea Marco Bellinazzo nel suo documentatissimo saggio, Le nuove guerre del calcio. Gli affari delle corporation e la rivolta dei tifosi (Feltrinelli), «Doha è diventata la nuova Mecca dello sport globale». Gli indignati speciali dell’ultima ora, di tutti i luoghi e di tutti i laghi, del Nord Europa specialmente, dovrebbero ricordare che da quel fischio iniziale hanno inviato tranquillamente tutte le federazioni di ogni specialità, in trasferta agonistica, laggiù nel deserto dei “berberi”. E già allora gli emiri di Doha erano nella top ten dei più ricchi del mondo (Qatar vero principato del reddito pro capite) ma refrattari ai diritti civili e quindi relegati in basso nella speciale graduatoria dei paesi con il minor indice di democrazia: 128° posto su 167 paesi monitorati da una recente inchiesta del settimanale britanicco The Economist. Il mondo dello sport ora lo nega, ma da quasi un ventennio a questa parte aveva scritto «t’amo sulla sabbia» al non docile Qatar, dove l’omosessualità è un reato penale. Eppure la galassia olimpica è passata per forza da qua. Kermesse di calcio internazionale in primis, e poi master di golf, corse di ciclismo, gare di atletica con tanto di tappa della diamantina Golden League. Inoltre un Gp del Motomondiale a Losail, più varie ed eventuali, si sono tenute lì, nella terra della scandalosa Coppa del Mondo, come non mai by Fifa.
Gli emiri che sotto i loro turbanti ne sanno una più del diavolo di un Blatter, pardon Infantino, sono stati capaci di mettere in piedi perfino la Desert Cup 2016 di hockey su ghiaccio. E nel decennio di avvicinamento a Qatar 2022 hanno piazzato i campionati del mondo di nuoto in vasca corta, di ginnastica artistica e atletica leggera. E poi ovviamente in un mondo che ormai recita ad ogni latitudine la preghiera “nel nome del padel” gli oligarchi del Qatar hanno convinto la federazione internazionale ad istituire un nuovo circuito mondiale che è stato inaugurato nel marzo scorso con il torneo di Doha. Montepremi da mille e una notte, quasi immorale per la disciplina, 525.000 dollari. Spiccioli per il fondo illimitato degli Al-Thani che investe su qualsiasi cosa animata e non, che circoli nel mondo, in virtù dello strapotere finanziario che gli garantisce il primato di paese fornitore di gas. Un Mondiale a tutto gas, grazie alle risorse inestimabili del North Field, il giacimento più grande del mondo sito nel Golfo Persico, adagiato per lo più nelle acque territoriali qatariote. Una mappa di colonizzazione dei mercati che - ricorda sempre Bellinazzo - rientra, nel «programma Qatar National Vision 2030». Potere di una monarchia assoluta (la costituzione è un optional) che con appena 300mila sudditi e uno stato grande quanto la Basilicata sta riuscendo a tenere sotto scacco l’universo. Gli emiri hanno puntato a un restilyng generale del paese, in cui ovviamente rientrano anche i Mondiali di calcio, gettando sul piatto dorato 100 miliardi di dollari. Un cantiere sempre aperto in cui opeche, rano almeno 2 milioni di lavoratori stranieri, strapagati in tutti i settori, tranne quello edile e in particolare degli stadi in cui si è assistito a uno schiavismo del terzo millennio.
Sangue e arene, per realizzare gli stadi di Qatar 2022 che sono costati la vita a 6.500 operai, morti per cadute nel vuoto derivate da malori a causa del caldo. I poveri cristi affamati arrivati in massa da mezza Africa, Bangladesh, India, Pakistan, sono stati stroncati da giornate lavorative infami sotto un sole che ha sfiorato i 50°. «Per fortuna i Mondiali si disputeranno nella stagione fresca », dicono entusiasti i feudatari della federcalcio qatariota che sperano in temperature medie stagionali tra i 14°-26 °C. Nessuno parla delle vittime di uno showbiz che a conti fatti presenterà agli emiri un conticino da 300 miliardi di dollari. Ma gli Al-Thani, sono abituati a non battere ciglio dinanzi alle cifre a più di sei zeri, passano alla cassa e vanno avanti. L’unica riduzione al gigantismo dirompente effettuata in questi anni è stata la costruzione degli stadi, portati da 12 impianti a 8. Portati a termine in pieno Covid planetario – tranne che in Qatar? – ospiteranno le 64 partite del torneo. Incontri ravvicinati di 90 minuti nella fase a gironi che si disputeranno praticamente tutti a Doha, in un raggio di appena 50 km. Tutti nuovi di pacca gli impianti sportivi, tranne l’antico, sì fa per dire, Khalifa International Stadium che ha aperto i cancelli nel lontano 1976, cinque anni dopo l’indipendenza dell’emirato.
La rassegna si inaugura allo stadio Al Bayt, che ospiterà nove partite, e sarà il palcoscenico della cerimonia di apertura e dell’esordio dei padroni di casa. L’unica nazionale debuttante il Qatar domani, ore 17 italiane, affronta l’altra cenerentola Ecuador. Il pezzo pregiato della collezione è lo stadio Ras Abu Aboud, meglio noto ormai come il 947 Stadium, intitolato ai 974 container navali che definiscono l’architettura quanto mai originale delle tribune. È l’unico della serie che non ha impianto di climatizzazione in quanto beneficia dei venti miti del vicino Golfo Persico, e con i suoi 40mila posti, alla fine della competizione verrà smantellato e riciclato per dare vita a nuovi impianti. Magari a un’altra delle innumerevoli Torri dell’impressionante skyline della capitale, tipo la Doha Tower che si slancia su 49 piani per 238 metri di palazzo. Dall’alto del grattacielo si riesce a scorgere perfino la copertura dorata del Lusail Iconic Stadium: capienza da 80mila spettatori, il “campo centrale” che sarà teatro di 10 partite, compresa la finale del 18 dicembre. Noi, intesi come Italia, non ci saremo, ed è quasi impossibile che alla finalissima approdi il Qatar. Ma tanto gli emiri hanno già vinto e sanno che con il loro bel giocattolo del pallone accumulerrano introiti per 5,4 miliardi di dollari. Una cifra superiore a quella dei Mondiali di Russia 2018, quando Putin era ancora un tifoso e uno spettatore interessato alla nazionale d calcio di Mosca che non ci sarà: eliminata, e non per ragioni sportive. La guerra del pallone messa in atto dal famelico Qatar con i suoi potenti mezzi economici, non può essere certo paragonata al fratricidio del conflitto bellico Russia-Ucraina che si sta consumando, proprio mentre il nostro arbitro Orsato darà il fischio d’inizio a teatro dell’assurdo pallonaro, Qatar 2022.