L'allestimento della mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” - Museo Archeologico Nazionale di Napoli
L’aspetto più interessante della mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”, aperta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino al 13 febbraio, è la rilettura della storia e della civiltà dell’Impero romano d’Oriente con un modello culturale che rifugge da luoghi comuni e schematismi e punta al recupero di un profilo più complesso, ma anche più identitario del mondo bizantino. In realtà, dopo la morte di Teodosio e la spartizione dell’impero tra Arcadio e Onorio, e soprattutto dopo la caduta dell’Occidente ad opera del barbarico Odoacre, l’Oriente, anche lontano da Roma, continuò a definirsi romano ed erede della tradizione latina. “Nuova Roma” fu Costantinopoli, romani furono denominati i bizantini dagli stessi ottomani. E tuttavia, afferma Federico Marazzi, curatore della mostra, quel mondo fu sostanzialmente diverso. È tale diversità, ispirata da principi organizzativi della struttura statale romana, ma illuminata dalla visione trascendente del cristianesimo, che approfondisce la mostra, lungo la storia di un millennio, dal 476 al 1453, anno della capitolazione di Bisanzio per mano dei turchi. La mostra è articolata in quindici sezioni, relative alle fasi storiche dell’Impero d’Oriente e dedica un focus a Napoli (città “bizantina” per circa sei secoli, dopo la conquista da parte di Belisario e delle sue armate nel 536 d.C.), approfondendo in particolare i legami fra la Grecia e l’Italia meridionale. In tale contesto Napoli giocò un ruolo importante nel perdurare della cultura bizantina nel Mediterraneo: essa restò legata a Bisanzio fino al 1137, allorché si alleò con il duca normanno Ruggero II. Godé ciò nonostante, a partire dall’ottavo secolo, di una notevole autonomia, tanto che il ducato partenopeo ebbe rapporti anche con le civiltà antagoniste e limitrofe, e in particolare con quella ottomana. Oltre quattrocento reperti provenienti dalle collezioni del Mann e da siti archeologici italiani e stranieri, e in particolare dagli scavi delle metropolitane di Salonicco e di Napoli, documentano le strutture del potere e dello Stato, la tipologia degli insediamenti urbani e rurali, gli scambi culturali, la religiosità e le espressioni della cultura scritta, letteraria e amministrativa. Sono presenti sculture, mosaici, affreschi, strumenti domestici, sigilli, monete, ceramiche, smalti, suppellettili d’argento, oreficerie ed elementi architettonici, che danno ragione di una realtà sociale variegata e di una cultura stratificata. E poi basi d’altare, calchi in gesso di transetti ravennati, straordinari capitelli, lastre di pulpito, parti di sarcofagi e di iconostasi, ampolle ed epigrafi. La mostra mette in rilievo in particolare l’importanza che il sacro aveva nella cultura bizantina, indagando la fisionomia dei luoghi di culto sotto il profilo architettonico e confessionale e altresì il significato e il valore del grande monachesimo orientale. Sono presenti manufatti e opere di particolare interesse, tra cui un grande pannello dipinto con San Giorgio e San Nicola, una icona di Sant’Anastasia proveniente da Naxos, un mosaico con ritratto, dei primi dell’ottavo secolo, una Lavanda del Bambino, proveniente dall’oratorio dedicato al papa greco Giovanni VII nella Fabbrica di San Pietro. Suggestivi gli elementi architettonici recuperati dal Relitto di Marzememi, una nave dell’età di Giustiniano affondata lungo la costa sud-orientale della Sicilia e che conteneva materiale lapideo e decorativo destinato ad un edificio di culto: una sorta di deposito costruttivo i cui i pezzi sarebbero stati montati come in un edificio prefabbricato. Presente infine una sezione dedicata alla produzione libraria e documentaria. Sono esposti a tale proposito numerosi tondi di piombo su cui l’amministratore di turno apponeva il suo imperituro sigillo. Felice l’allestimento, anche sotto un profilo squisitamente didattico.