Se chiedete a un bambino, vi dirà solo che quello è un signore con le gambe di ferro. Se chiedete a lui, vi dirà che questo giorno lo ha aspettato per 25 anni. In fondo, voleva solo giocare con gli altri. Prima non ci riusciva, poi gli avevano detto che non poteva. Questa mattina, invece, Oscar Pistorius, sudafricano, disabile, così abile da qualificarsi per un’Olimpiade, correrà nella corsia a fianco di quelli che si chiamano “normali”. Lui lo racconta spesso: «A mio fratello ogni mattina, mamma diceva: mettiti le scarpe. A me invece: mettiti le gambe…». Sua mamma non c’è più. Li vedrà dal cielo i 400 metri di libertà del suo bambino. Ai Giochi è la prima volta nella storia per un doppio amputato. Per la storia dello sport, è un paletto piazzato in mezzo alla corsia.Altri l’hanno superato prima di lui. Natalie du Toit, sudafricana anche lei, 28 anni. Perse la gamba sinistra in un incidente stradale e ai Giochi di Pechino è finita 16ª nei 10 km di nuoto. La differenza è che lei ha “solo” una gamba in meno, mentre Pistorius ha due lame in più. A St. Louis nel 1904, George Eyser, americano, 33 anni, mutilato a una gamba, con una protesi di legno vinse 6 medaglie nella ginnastica. A Sydney 2000, la mezzofondista americana Marla Runyan, dichiarata legalmente cieca, finì ottava nei 1500. Il morbo di Stargardt, una degenerazione della retina, a 9 anni l’aveva condannata a non vedere più quasi nulla. Ma il colore della pista, quello sì. Ha scritto un’autobiografia: “No finish line: my life as I see it”, nessun traguardo, la mia vita come la vedo io. Ora tocca a “Blade Runner”, soprannome che a lui non piace granché: «Ma me lo tengo – dice –, c’è di peggio nella vita…». Sorride Oscar, lo fa spesso. Ora può farlo. Occhi chiari, trasparenti: lo guardi e vedi tutto. Il suo dramma, la sua storia, la lunga scalata per diventare un eroe della normalità. Facile dirlo, per gli altri. Meno semplice per lui. Aveva 11 mesi quando gli hanno tagliato le gambe sotto al ginocchio. Malformazione genetica, la diagnosi. Impossibile fare altrimenti. Avrebbe dovuto camminare tutta la vita su una sedia a rotelle.Testa dura, invece, appena ha potuto usarla per dimostrarlo l’ha fatto. Inizia con pallanuoto e tennis. Poi il rugby: troppo violento, si fa male. Allora l’atletica. Si fa costruire due protesi artificiali, può permetterselo. Le produce un marchio islandese, la Ossur, il modello da gara si chiama Ceetah. Significa ghepardo, l’animale più veloce della terra. Due lame ricurve di fibra di carbonio e titanio da ancorare sopra al ginocchio. Costano 26mila euro, come due Fiat 500. Non servono per camminare, anzi con quelle è già faticoso stare in piedi. Ma per correre sono perfette, e lui in pista si sente come un topo nel formaggio. Oscar si iscrive alle gare paralimpiche: vince tre ori olimpici a Pechino nei 100, 200 e nei 400. Ma sono le Olimpiadi degli altri, non le sue. Ai Giochi per disabili non rinuncia, ma da tempo non gli bastano più. Chiede alla Iaaf, la Federazione internazionale di atletica, di poter correre con gli altri. Impiegano mesi a rispondergli: «Troppi vantaggi, troppa spinta innaturale. Non se ne parla…». Che fortuna essere senza gambe: finiscono pure per dirti che sei un privilegiato. Ma Pistorius non si arrende e fa causa alla Iaaf: «Non ho i polpacci, non ho muscoli, ho meno sangue nel corpo degli altri. E corro con le gambe artificiali da 14 anni: eccole, studiatele, vedrete che non c’è nulla di illegale. Anche perché le usano anche altri e non fanno i tempi che faccio io». Aspetta, spera. Intanto non smette di correre.Come un Forrest Gump bionico. Ci mette 4 anni per ottenere il tempo minimo per partecipare all’Olimpiade. Fa uno strepitoso 45”07 sui 400 a Lignano, la Federazione di atletica si arrende e gli concede di partecipare ai Mondiali di Daegu nel 2011. Lo eliminano in semifinale. Poi scoppia la grana della staffetta. Oscar è il più veloce quattrocentista del Sudafrica, ma la Federazione internazionale lo autorizza a gareggiare solo come primo frazionista «per non procurare danni agli altri atleti con i suoi arti artificiali». La zona dove si scambia il testimone è affollatissima, è vero. Ma a molti sembra una censura preventiva, ipocrita. Va bene, scocciatore: puoi correre con gli altri, ma solo dove e quando lo diciamo noi. Pistorius fa solo le batterie a Daegu. Porta i suoi compagni in finale, poi il Sudafrica lo esclude dal quartetto della finale, per evitare altri guai. Vincono l’argento, ma con un tempo peggiore di quando c’era lui. Polemiche, dubbi, cifre, calcoli. La falcata di Michael Johnson, primatista mondiale imbattuto dal 1999 sui 400, era di 2,15 metri. Oscar tra un passo e l’altro dei suoi ferri, ne percorre 2,50. Macchine, ma anche uomini.Da un punto di vista fisiologico, non c’è dubbio. Pistorius non ha le gambe: dunque non accumula acido lattico. Dunque corre in condizioni diverse da quelle dei suoi avversari. Paradossalmente, sotto questo aspetto, migliori. Infatti dalla curva in poi è più veloce di tutti, negli ultimi 120 metri recupera quello che perde in partenza. Lo hanno sottolineato in tanti, dal professor Locatelli, del laboratorio dell’Acquacetosa, al professor Carlo Vittori, storico allenatore di Pietro Mennea. Nessuna crudeltà. Lo sport è merito, non pietà. E soprattutto è diritto per tutti di partire alla pari. Le domande restano, ma Pistorius ha vinto. Lui è qui, il giorno è oggi. Ora sorride e lucida i suoi piedi d’argento: qualificarsi per la finale sarebbe un altro trionfo. «Cosa penserò un secondo prima del via, questa mattina? A una frase che diceva mia mamma: non è un perdente chi arriva ultimo, ma chi si siede e sta a guardare...». Buon viaggio Oscar.