giovedì 28 maggio 2015
​Da 17 anni schiva inchieste e condanne.
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Solo l’Fbi, forse, riuscirà a far tramontare il sole sul suo regno. Ma la cautela è d’obbligo, perchè abbattere con una pallonata l’uomo della demagogia e degli scandali sempre solo sfiorati, non sarà comunque facile. Troppo potente il monarca del calcio mondiale, da 17 anni attaccato alla poltrona della Fifa e ovunque osannato da elettori sdraiati e da sempre compatti, per dare per scontata la sua fine.  A 79 anni suonati Joseph Blatter puntava al suo quinto mandato e ad un’altra elezione che prima dello scandato scoppiato ieri, sarebbe stata certa: ora salgono le quotazioni del principe giordano Bin Hussein, l’unico candidato rimasto contro di lui dopo la rinuncia sconsolata degli altri, ma nulla è scontato. Neppure se si voterà lo stesso, domani, nonostante il ciclone giudiziario che ha investito la Fifa, con molti nomi eccellenti, due vicepresidenti e un ex componente dell’esecutivo finiti in manette per corruzione, e un numero ancora imprecisato di indagati. Con quale esito per Blatter, è ancora tutto da capire. Più semplice invece è ricordare la strategia dell’ex colonnello svizzero, che in questi anni – oltre che per se stesso – ha fatto anche buone cose per il pallone, moltiplicandone il valore economico e diffondendolo ovunque, anche dove non era mai rimbalzato. Il successo d’immagine del Mondiale in Sudfrica nel 2010 ad esempio, resterà indiscusso. Pur con le storture, i sospetti - e forse anche l’assegnazione favorita da una tangente da 10 milioni di dollari, come sostiene l’accusa - che anche quell’edizione si portò dietro. “For the game and for the world”, per il gioco e per il mondo, è il suo slogan. Con Blatter le casse del governo calcistico si sono riempite di dollari a dismisura, grazie a diritti tv, marketing e pubblicità. Soldi usati da Blatter per sostenere i Paesi che sostengono lui. E per coprire le spese generate dalle faraoniche abitudini dei membri della Fifa. Ma Blatter, da sempre, è stato anche sinonimo di gaffe, decisioni a sorpresa, dietrofront clamorosi. Sua l’idea, senza paura di apparire ridicolo, di allargare la misura delle porte per aumentare lo spettacolo. E di abolire il pareggio tra i risultati possibili di una partita. Qualcuno, per fortuna, riuscì a farlo desistere. Ai Mondiali del 2006 invece Blatter si rifiutò di premiare l’Italia di Lippi vittoriosa a Berlino. E la Federcalcio britannica ne chiese le dimissioni per aver detto che nel calcio non esiste razzismo.  Piccole cose di fronte agli scandali che lo hanno solo sfiorato (per ora) per i metodi di gestione degli affari della Fifa e le insistenti voci di corruzione e bustarelle, soprattutto in fase di assegnazione dei Mondiali e in materia di marketing. Buon ultimo, il caso del Qatar. Paese ricchissimo ma privo di tradizione calcistica, e dalle condizioni climatiche estreme, con temperature di 50°, che solo un folle (o qualcuno lautamente interessato) sceglierebbe per organizzarci un campionato del mondo. Blatter, ovviamente lo ha fatto. Senza battere ciglio. Come senza battere ciglio, pare, abbia incassato ieri lo schiaffo giudiziario arrivato da New York.
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