"In Giunta per il regolamento - racconta Francesco Nitto Palma (Pdl) al termine della riunione - ci si è detti tutti contrari sul fatto che si arrivi a una modifica del regolamento per avere il voto palese in aula sulla decadenza di Berlusconi. Il Pd punta infatti a una nuova interpretazione della norma regolamentare". Ma anche su questo Palma si dice contrario perché "a una norma contra personam come quella che potrebbe essere definita una modifica del regolamento perché si abbia il voto palese, si potrebbe arrivare a un'interpretazione contra personam, ma il discorso cambierebbe poco".Il capogruppo Luigi Zanda ribadisce la posizione del Pd che è quella di essere a favore del voto palese, ma conferma che una decisione in questo senso potrà essere presa solo nella riunione della Giunta fissata per il 29 ottobre.SCONTRI PDL-PDSi avvicina il voto sulla decadenza e la sorte di Silvio Berlusconi alimenta lo scontro nella maggioranza arroventando anche il clima nel Pdl dove la frattura fra i "governativi" e i "lealisti" è tutt’altro che sanata.Ieri nuovo passo in avanti, verso il verdetto ormai apparentemente inesorabile per il Cavaliere, che può sperare solo, a questo punto, sul voto segreto e su un eventuale sovvertimento dei numeri. La Giunta per le elezioni del Senato ha infatti approvato ieri sera la relazione del presidente Dario Stefano (di Sel) che propone, appunto la decadenza. Hanno votato a favore i componenti di Pd, M5S e Scelta civica, contro naturalmente il Pdl, assente la componente della Lega. «È stato un non dibattito», tuona Elisabetta Casellati (del Pdl). Si va ora a passi spediti verso il voto in aula, già oggi toccherà alla conferenza dei capigruppo calendarizzarlo, con l’obiettivo, portato avanti da chi ha approvato ieri a grande velocità la relazione, di procedere prima del pronunciamento di sabato della Corte di appello che dovrà riscrivere la sentenza di condanna sui diritti tv del Cavaliere riguardante la clausola accessoria riguardante l’interdizione.
Ma il tema, come detto, diventa il voto segreto o meno. «Dovrà decidere la Giunta per il regolamento d’intesa con il presidente del Senato», chiarisce la vicepresidente Stefania Pezzopane. È prudente Pietro Grasso, tirato per la giacca da un lato e dall’altro. «Agiremo secondo le regole, i tempi e i modi previsti. Sappiamo che ci sono dei Regolamenti, che vanno sicuramente adattati ai tempi ed alle esigenze di una politica più agile» chiarisce, auspicando si arrivi a trovare «soluzioni univoche» fra Camera e Senato. Ma anche Dario Stefano si dice favorevole al voto palese, lo definisce un atto di «grande civiltà parlamentare». Esattamente il contrario di quanto sostiene il Pdl con Lucio Malan che lo giudica inopportuno «trattandosi di una questione di carattere personale», con il partito nella sua interezza che è intenzionato su questo a dare battaglia. Così come M5S è deciso a fare sul fronte opposto, con il Pd in mezzo, che potrebbe dividersi sul rispetto del regolamento o sulla sua deroga. Perché per regolamento bastano 20 senatori a chiedere il voto segreto perché la richiesta venga accordata.
Silvio Berlusconi vive intanto momenti di grande trepidazione. Ieri, come ogni lunedì, ha trascorso la giornata con i figli e con i vertici del gruppo Mediaset, ma ha incontrato e sentito al telefono anche i leader del suo partito. A villa San Martino ha incontrato i senatori Altero Matteoli, Paolo Romani e Maurizio Gasparri, che sono descritti come elementi di mediazione nel grande scontro che continua fra le due fazioni, che Berlusconi vuole scongiurare in ogni modo.
Gaetano Quagliariello, pur auspicando un centrodestra unito «in grado di vincere le elezioni nel 2015», arriva a concludere che è «meglio due partiti che un litigio permanente, ma speriamo di evitare anche il litigio nello stesso partito». Ma, aggiunge il ministro delle Riforme, «l’unico leader del centrodestra che può convivere con Berlusconi può essere Alfano». Perché con l’altra linea resta la divisione: « Francamente una linea basata sulle dimissioni in massa dei parlamentari - dice Quagliariello -, e sulle dimissioni dei ministri, non mi è parsa una linea politica».
Berlusconi per parte sua arriva, nei colloqui privati, ad evocare ogni argomento, ivi compreso quello economico. «Senza di me dove vanno?», dice il Cavaliere mostrandosi ancora fiducioso di poter essere, ancora una volta, sebbene azzoppato dalle inchieste e in procinto di decader da parlamentare il garante della ritrovata unità. Ma la tregua richiesta non regge e la tensione tra i due blocchi torna alle stelle. Per cui oggi il Cavaliere potrebbe far ritorno nella Capitale per scongiurare i rischi di una scissione evocata ormai da molti, ma le incertezze legate alla situazione giudiziaria rendono i suoi spostamenti ancora incerti. Berlusconi potrebbe anche dar vita a un appello finale alle fazioni in lotta, ricorrendo persino ad argomenti minacciosi, sull’onda di un umore nerissimo e di una pazienza che sta per saltare. «Se non vi stanno bene le mie scelte quella è la porta», continua a dire ai fedelissimi, ma non sa se farne un pubblico ultimatum. Si affida a lui anche l’altro contendente: «Solo a Berlusconi - dice Raffele Fitto - è finora riuscito il miracolo laico di imporre la discussione pubblica su programmi fortemente riformatori, ottenendo insieme il consenso di significative maggioranze», traccia un po’ il manifesto dei lealisti. La sua proposta è drastica, il ritorno alle urne: «Restituire la palla a chi è stato scelto da milioni di elettrici ed elettori italiani, cioè Berlusconi, evitando di collaborare, pur tra omaggi ipocriti al tentativo di accompagnarlo fuori dalla scena istituzionale». Ma sull’altro fronte anche Fabrizio Cicchitto arriva a immaginare ormai una "diarchia" da separati in casa fra Berlusconi e Alfano. Angelo Picariello