domenica 4 agosto 2013
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«Senza un’accettazione della sentenza una grazia non può configurarsi», taglia corto Stefano Ceccanti. Il costituzionalista, ex parlamentare del Pd e attento osservatore del Quirinale sgombra il campo decisamente. E denuncia il rischio di un avvitamento in una «crisi insormontabile per il Paese e senza sbocchi, aggravata dalle prevedibili dimissioni di Napolitano».Per Bondi si rischia la guerra civile.Richiamare un concetto del genere è non solo irresponsabile, ma anche sconnesso rispetto al sentire comune, persino di quella parte dell’elettorato di centrodestra portato a solidarizzare con Berlusconi, ma che non capisce un riferimento così sproporzionato. E non capirebbe neanche l’apertura di una crisi di governo al buio, con il rischio che ne conseguirebbe - come dicevo - di dimissioni di Napolitano, richiamate nel suo discorso di insediamento contro logiche irresponsabili che dovessero riemergere. Con una corsa a precipizio verso le elezioni a legge elettorale invariata e il probabile esito di elezioni senza vincitore, allarmante per gli italiani e per chi ci guarda da fuori.Per il Pdl solo la grazia eviterebbe questi rischi.Si tira in ballo il Presidente della Repubblica ma ci sono almeno tre problemi insuperabili. Il primo è che in questa fase non si può presentare comunque, perché la sentenza, pur esecutiva, non è ancora completa: manca il ricalcolo della sanzione accessoria sull’interdizione dai pubblici uffici. Il secondo è che essa suppone comunque un’accettazione della sentenza, a cui si chiede di derogare per altre ragioni, in questo caso per una sorta di ragion politica di tutela del capo di uno schieramento. Invece sin qui Berlusconi ha contestato in radice la sentenza come prodotto di un complotto politico-giudiziario. Collegato a questo c’è un terzo problema: anche se cambiasse linea, quanto meno per convenienza, sul punto precedente, una grazia che intervenisse a ridosso della sentenza, per di più passando sopra la consuetudine del non concederla a chi ha altri procedimenti in corso, suonerebbe come una sorta di quarto grado di giudizio che delegittimerebbe i precedenti.Cosa dovrebbe fare allora il centrodestra?La principale colpa di Berlusconi, sul piano politico, è il ritardo nell’affrontare la sua successione alla guida del centrodestra, nell’emancipare uno schieramento che esiste nel Paese e di cui il funzionamento ordinato della democrazia ha bisogno, dalle sue sorti personali. Questo avrebbe dovuto essere il primo punto in agenda soprattutto dopo una sentenza che, a causa del decreto legislativo che ha seguito la legge Severino, lo rende incandidabile per sei anni al Parlamento, lo esclude per lo stesso periodo da cariche di Governo e lo porterà in poche settimane alla decadenza dal Senato. Ne è sicuro, autorevoli giuristi ne mettono in dubbio la retroattività.Sono stato relatore di quella legge, so quel che dico. Legge che, detto per inciso, l’area giustizialista ha bombardato come acqua fresca. L’interdizione non è sanzione penale, l’irrretroattività non vale.E il centrosinistra, come deve porsi?Il Pd ha il dovere di mantenere ferma, in mezzo alle opposte campagne che confondono sentenze e politica, la distinzione tra le due sfere e di dare slancio al governo perché faccia riforme forti nei prossimi mesi.Non sarà facile, viste le spinte grilline e della sinistra antagonista.Sarebbe forse più agevole assecondare le spinte alla rottura presenti nell’elettorato di appartenenza, ma il Pd è nato, secondo una bella espressione di Andreatta, per essere il Country party, il "Partito del Paese". Dal canto suo il governo deve aiutare il Pd, dimostrando di non mirare a sopravvivere, ma di fare vere e durature riforme.
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