Il modello tedesco o quello americano? Sussidi e mini-jobs oppure contrattazione aziendale e salario minimo. Alla vigilia della Conferenza europea sull’occupazione, la posizione del nostro governo sembra oscillare tra la flexsecurity nordeuropea e il liberismo statunitense, rischiando però di assumere non solo i pregi dei due modelli, ma per buona parte anche i numerosi difetti. Prendiamo alcuni dati per capire. La Germania è il Paese che meglio degli altri partner continentali ha saputo reggere alla crisi, incrementando i livelli occupazionali e riducendo al minimo la disoccupazione, oggi al 4,9%. Se si guarda ai risultati dell’ultimo decennio tra il 2003 e il 2013 i risultati sono ancora più spettacolari. La disoccupazione è calata di 5 punti mentre aumentava in tutto il resto dell’Unione e soprattutto il tasso di occupazione è passato dal 65 al 73,3% nello stesso periodo in cui da noi scendeva dal 57 al 55,6% dopo aver toccato una punta massima del 58,7% nel 2008. Se, però, si analizzano queste cifre più in profondità, ci si accorge di come il 'boom' occupazionale sia dovuto in gran parte all’introduzione dei mini-jobs pagati al massimo 450 euro al mese e al proliferare di contratti a vario titolo atipici o part-time. Nel 2013, il numero dei rapporti di lavoro non-standard in proporzione ai contratti di lavoro totali è cresciuto fino a raggiungere il 43%. Un dato così suddiviso: 21% i mini-jobs; 20% il part-time (volontario o non) e un 2% di lavoro in affitto. Insomma, in Germania solo poco più della metà dei lavoratori è in realtà assai protetto e può contare su un contratto standard a tempo indeterminato. Nello stesso tempo, mentre in Italia la percentuale di popolazione a rischio povertà è aumentata dal 25% a un preoccupante 30%, in Germania è calata di qualche decimale ed è ferma al 19,6%. I minijobs – creati con le riforme Hartz e accompagnati da robusti sussidi per la casa, i figli, il riscaldamento – insomma hanno permesso di contrastare la disoccupazione e la povertà. È cresciuta però una sacca di 'sottoccupati', il cui futuro andrà verificato nei prossimi mesi quando a gennaio entrerà in vigore il salario minimo legale a 8,5 euro l’ora. Molti osservatori pensano infatti che così il sistema non reggerà, con una 'fuga' verso il lavoro irregolare o con una maggiore disoccupazione. La lezione è per noi particolarmente importante, visto che nei piani del nostro governo c’è pure il salario minimo. Lo stesso che oggi interessa una larga parte dell’occupazione americana. Anche negli Usa infatti si parla di record negativo della disoccupazione al 5,9%, ma dietro il primato sta la costante diminuzione del tasso di attività, calato dal 67,4 del 2000 al 62,6% di oggi, con una netta fuoriuscita di persone dal mercato del lavoro (92,6 milioni sono inattivi). E contemporaneamente la crescita dell’esercito di lavoratori a salario minimo: circa 28 milioni di persone che guadagnano 7,25 dollari l’ora. È quella lowerclass per la quale il presidente Obama sta battagliando per portare il salario minimo a 10,10 dollari. Finora senza successo.