giovedì 12 febbraio 2015
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«Sono assassini, altro che "comuni" trafficanti di persone... Sa cosa significa il mettere in mare, deliberatamente, centinaia di persone su scafi traballanti, quando ci sono onde alte 8 metri? È una forma di omicidio».L’ammiraglio ispettore capo Felicio Angrisano, dal 2013 comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera, scuote la testa, mentre uno schermo televisivo trasmette le immagini delle motovedette che domenica hanno strappato alla furia del mare forza sette un gommone partito dalla Libia con 105 persone (29 delle quali poi morte per ipotermia): «I nostri equipaggi hanno mostrato una perizia e un coraggio eccezionali: anche se avessero salvato una sola vita sarebbe stata un’impresa straordinaria. Intendo proporli per una medaglia d’oro. In condizioni metereologiche estreme, hanno incarnato quei valori, quelle competenze e quell’altruismo che ogni giorno ispirano i nostri interventi. E hanno sfruttato al meglio le motovedette classe 300 chiamate "Ognitempo", inaffondabili e autoraddrizzanti anche in condizioni estreme...». In passato, d’inverno gli sbarchi rallentavano. Ora neppure le burrasche fanno da deterrente... È una deriva allarmante. Più aumenta la spregiudicatezza dei criminali e più sarà arduo riuscire a salvare vite umane. Nei mesi scorsi arrivavano dalla Turchia grandi navi senza equipaggio, lanciate col timone bloccato contro le coste italiane. Ora dalla Libia altri criminali mettono in mare gommoni con mare forza 7. Domani potrebbero farlo anche con forza 10: in quel caso quanto tempo e quanti altri rischi serviranno per raggiungere i natanti? Per il Consiglio d’Europa, la missione Triton è inadeguata. La Ue dovrebbe lanciare una nuova Mare nostrum? Sono decisioni che esulano dalle mie responsabilità. Dico solo che il flusso dei migranti non è un’emergenza, ma un dramma quotidiano. In questo momento, chi ci assicura che davanti alle coste libiche non stiano affondando uno, due o tre gommoni? Nella nostra sala operativa arrivano in continuazione telefonate satellitari con richieste di aiuto... Come si può superare la fase della "corsa contro il tempo"? Credo che si debba ragionare su un punto: al centro dell’azione cosa va messo? Se il valore primario è la tutela delle vite umane, e non solo la vigilanza su una certa porzione di territorio marittimo, allora non ci sono coscienze che possano trincerarsi dietro la valutazione "Sono morti a 3, 6 o 9 miglia dalla Libia...". Sul piano pratico, tuttavia, la porzione di Mediterraneo su cui vigilare è enorme e, ogni volta che c’è un Sos, anche allertando navi mercantili che incrociano nei paraggi, si rischia di non arrivare in tempo... E dunque? Bisogna capire come intervenire in modo efficace sulle coste da dove partono i barconi, per prevenire nuove tragedie. Nel caso della Libia, le turbolenze sociopolitiche non aiutano... Vent’anni fa, lei era a Brindisi a soccorrere le ondate di albanesi che si riversavano in Puglia... Sì. E non potrò mai dimenticare il loro sguardo: un misto di paura, speranza e profonda gratitudine per chi li stava soccorrendo. Oggi i migranti africani hanno volti diversi, ma quello stesso sguardo. Non dobbiamo dimenticare quegli occhi... In Europa, nei fatti, c’è ancora indifferenza di fronte ai naufragi... Posso comprendere che il numero di migranti in arrivo possa spaventare chi, in Italia e in Europa, ragiona secondo certe logiche. Ma io ripenso a ciò che ho sentito dire da Papa Francesco nel sacrario di Redipuglia davanti alle vittime della Grande Guerra, a quella risposta scellerata di Caino «A me che importa?». Ecco, di fronte a migliaia di esseri umani in fuga da guerre, persecuzioni o carestie, come si fa a dire: a noi che importa? Per me e per i miei uomini salvarli è un dovere assoluto, è il primo dovere di chi va per mare.
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