L’inchiesta sulla "maternità surrogata" di "Avvenire" ha messo in luce la mercificazione del corpo della donna che si realizza con questa pratica, soprattutto sulla pelle dei più poveri, soprattutto (ma non solo) nei Paesi più poveri. L’opinione pubblica stenta tuttavia a percepire tutta la problematicità del tema. Eppure nessuno dovrebbe mai pretendere di far vivere una gravidanza a una donna, chiedendole poi di dimenticarsene. E magari comprando il suo corpo e questa "dimenticanza" con denaro. A parte ogni altra considerazioni che si potrebbe fare, questo è il nocciolo del problema per Stefano Semplici, dal 2011 presidente del Comitato internazionale di bioetica dell’Unesco. Toscano di Arezzo, classe 1961, sposato con due figli, vive a Roma dove è professore ordinario di Etica Sociale all’Università "Tor Vergata" e direttore scientifico del Collegio Universitario "Lamaro-Pozzani" della Federazione nazionale Cavalieri del Lavoro. Ai temi della bioetica "globale" Semplici ha dedicato diversi volumi, tra i quali, tra i più recenti, "Invito alla bioetica" (Editrice La Scuola) e "Undici tesi di bioetica" (Morcelliana).
Professor Semplici, il Comitato di Bioetica dell’Unesco ha una posizione specifica sul tema degli "uteri in affitto"?Il Comitato non si è concentrato in questi anni sulle problematiche connesse alle nuove tecniche di procreazione medicalmente assistita, ma un accenno ai rischi che si possono determinare in questo ambito si trova nel Rapporto del 2011 sul principio del rispetto della vulnerabilità umana e dell’integrità personale. Il Comitato guarda comunque con particolare attenzione a tutte le situazioni nelle quali condizioni economiche e sociali svantaggiate possono aprire varchi per pressioni indebite, standard multipli di rispetto della dignità o addirittura vere e proprie pratiche di sfruttamento.
Sarebbe opportuno che la legislazione in materia dei diversi Stati fosse più omogenea...Stiamo parlando di un meccanismo di domanda e offerta che opera a livello globale ed è dunque ovvio che controlli o anche divieti introdotti a livello semplicemente nazionale risulteranno sempre inadeguati. Dobbiamo, purtroppo, prendere atto che in queste materie il quadro internazionale appare sempre più articolato, con soluzioni che spesso offrono margini molto scarsi di compatibilità. Per questo è importante discutere apertamente i problemi e le diverse posizioni.
Da studioso di bioetica, quali sono a suo avviso i principali problemi che questa metodica pone sul piano etico?I problemi sono essenzialmente due. Il primo nasce dalla difficoltà di "neutralizzare" il vissuto dei nove mesi della gestazione. Una donna porta e sente crescere nel suo corpo una nuova vita, che non dovrà però in nessun modo sentire come "sua". Si può pretendere questo?
E il secondo problema?L’altra questione rinvia, nel caso di maternità surrogata a pagamento, al delicatissimo intreccio di corpo e dignità, che non a caso è stato tutelato in importanti documenti internazionali da norme che escludono tassativamente ogni possibile mercificazione del corpo o di sue parti. La Convenzione di Oviedo (il trattato europeo sui diritti umani e la biomedicina) e la Carta di Nizza (la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) su questo punto si corrispondono alla lettera. La maternità surrogata a pagamento ricade o no sotto il divieto di fare del corpo umano o di sue parti una fonte di lucro? Sarà bene, a mio avviso, non continuare a eludere questi due interrogativi.