Quello che domani approderà nell’aula di Montecitorio per l’avvio della discussione generale (il voto finale è stato messo in agenda per mercoledì 20 maggio ndr), è un testo sulla buona scuola con profondi cambiamenti: poteri - ma meno forti- ai presidi; maggior collegialità nella conduzione della scuola, limitazione al potere di delega al governo; nuove norme nella formazione iniziale degli aspiranti docenti, per fare qualche esempio. La filosofia di fondo, a dire il vero, non è cambiato, ma gli «aggiustamenti » apportati in commissione Cultura della Camera dei Deputati, ha permesso di smussare qualche - anche se non tutti - aspetto critico del testo approvato dal governo Renzi. «In commissione abbiamo cercato di lavorare in un confronto franco e sereno – commenta Milena Santerini, parlamentare di Per l’Italia-Centro democratico (Pi-Cd) – e la relatrice del provvedimento ha cercato di riformulare in diverse occasioni il testo dei singoli articoli cercando di fare sintesi tra le posizioni emerse. Anche se qualche aspetto merita qualche approfondimento in sede di esame in aula». Di certo il lavoro svolto in commissione, a partire dalle audizioni che hanno impegnato per diversi giorni i parlamentari, ha di fatto ridisegnato la figura del preside manager, che da 'un uomo solo al comando', torna a essere un professionista dell’educazione capace di programmare e di condurre l’attività del singolo istituto in uno spirito di maggior collegialità. Esempi? Il piano dell’offerta formativa non sarà più di competenza del dirigente, ma spetterà a lui dare le linee guida che il collegio docenti dovrà usare per l’elaborazione del documento. Spirito collegiale anche nella valutazione del merito dei docenti, dove i criteri di assegnazione sono «individuati dal Comitato per la valutazione dei docenti ». Resta, sul fronte della scelta dei docenti per le attività legati al Piano dell’offerta formativa, la possibilità di scelta da parte del preside dei docenti all’interno degli ambiti territoriali. Nuova definizione del percorso per diventare docente: si accederà solo vincendo il concorso, a cui si può partecipare se in possesso di una laurea magistrale (il 3+2). Vinto il concorso sono previsti tre anni di apprendistato a tempo determinato, durante il quale si deve conseguire un attestato di specializzazione per l’insegnamento. Solo al termine di questo percorso si avrà il verdetto definitivo sull’assunzione a docente di ruolo. «Percorso che pone più l’accento sulla preparazione teorica del docente – commenta Milena Santerini – ponendo solo in fondo anche la capacità di insegnare». Tema che in aula potrebbe vedere riaccendersi la battaglia. Diminuito anche l’elenco delle deleghe al governo. Ne saltano 5: rafforzamento dell’autonomia (ma molte norme sono previste in altri articoli), assunzioni e formazione dei presidi, riordino degli organi collegiali, il sistema degli Istituti tecnici superiori, la scuola digitale. Le altre sono state riformulate o corrette (come nel caso del sistema dai 0 ai 6 anni in cui è stato tolto il riferimento statale accanto alla parola "materne", che avrebbe escluso tutte la paritarie). Altro cambio positivo per le famiglie con figli iscritti alle paritarie l’estensione anche alle superiori della detraibilità delle spese di frequenza con un tetto di 400 euro l’anno, mentre lo school bonus è esteso a «tutti gli istituti del sistema nazionale»: statali e paritarie. Da domani la parola all’aula e dal 19 maggio il voto sul testo.