«Con questa sentenza non c’è stata un’apertura di campo come auspicato da chi ha promosso il ricorso, nel senso del diritto inviolabile ad avere un figlio sano o della completa autodeterminazione riproduttiva. Si è aperta una porta, ma la si è lasciata socchiusa con l’inserimento di alcuni paletti, che possono essere rigorosi per condizioni e procedura». Così Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, commenta la decisione con cui la Consulta è intervenuta sul divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche, previsto dalla legge 40.Presidente, quali sono le motivazioni di questa sentenza?La Corte ha impostato la questione sotto il profilo della ragionevolezza e della tutela della salute della donna facendo riferimento alle disposizioni della legge 194, ragionando sul fatto che è meno traumatico il ricorso alla diagnosi preimpianto che un’eventuale interruzione volontaria di gravidanza successiva alla scoperta di una patologia. C’è una valutazione prognostica delle conseguenze della patologia dell’embrione rispetto alla salute della madre, una prospettiva di quello che potrebbe accadere.Il rimando è alla legge 194 che però non definisce criteri di gravità di patologie per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza.La patologia, nelle indicazioni della Consulta, deve rispondere a criteri di gravità preventivamente individuati, con l’accertamento in una struttura pubblica. La sentenza rimanda al legislatore per l’individuazione di una disciplina e delle strutture pubbliche che possano far accedere alle procedure. Sta quindi al legislatore individuare le patologie che giustifichino l’accesso alle tecniche di Pma per una coppia fertile e, in maniera correlata, determinare i centri pubblici autorizzati e idonei. In questo modo, escludendo i privati, si allontana anche ogni possibile scopo di lucro.Quale può essere la strada per l’individuazione delle malattie geneticamente trasmissibili che diano l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale?Il legislatore può rinviare ad organi tecnici come l’Istituto Superiore di Sanità che possano effettuare una valutazione su cui sia possibile dare indicazioni stringenti. Allo stesso modo, il Ministero della Salute può, e a mio parere deve, accertare quali siano le strutture pubbliche che devono verificare queste procedure, altrimenti si rischia che si aprano le piste più strane.
Cosa succederà all’indomani della pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale?Non dovrebbe esserci alcun automatismo, ma va evidenziato che la Corte non ha adottato una sentenza additiva di principio. C’è una decisione di illegittimità costituzionale che supera il divieto per le coppie non sterili e si introduce un auspicio per un intervento del legislatore che però non si sa quanto sarà solerte. La disciplina dovrà essere integrata e questo porterà delle resistenze all’attività legislativa.Si può dire che c’è un vuoto normativo per l’applicazione della sentenza?Non basterà presentarsi con un certificato del proprio medico, ma servirà l’accertamento rigoroso di un centro pubblico da individuare. Per rendere effettivi e concreti e vincolanti le verifiche dei presupposti, occorre un intervento normativo ulteriore.La Corte nella sentenza fa riferimento all’esigenza di tutela del nascituro…Già nell’ordinanza di rinvio non si faceva alcun riferimento ai diritti del figlio, ma veniva richiesto di affermare il diritto al figlio sano, cioè di decidere “per lo altrui”. Il Papa direbbe che è una delle espressioni della cultura dello scarto.