Chi è Abdel Majid al-Touil, alias «Abdellah»? Un «bravo ragazzo che studia l’italiano, cerca lavoro e pranza alla Caritas», come ripetono familiari e conoscenti? O un terrorista, come affermano le autorità tunisine, capace d’entrare in Italia a febbraio mimetizzato fra i migranti, tornare a Tunisi il 18 marzo per l’attentato al Museo del Bardo e poi rientrare indisturbato in via Pitagora 14, a Gaggiano, periferia dell’hinterland milanese dove risiedono sua madre e due fratelli? Lui, detenuto in una cella di San Vittore, finora resta in silenzio. Qualche risposta potrebbe arrivare da pen drive, appunti ed effetti personali sequestrati nella perquisizione. Ma col passare delle ore, gli interrogativi sul suo conto si ammonticchiano sulle scrivanie dei funzionari di intelligence e degli investigatori dell’antiterrorismo di Polizia e Carabinieri: quando e in quali ambienti si sarebbe radicalizzato? Fa parte di una cellula estremista o è un 'cane sciolto'? Cosa ha fatto e chi può aver incontrato nel periodo trascorso nel nostro Paese? E soprattutto – se è vero ciò che sostiene il ministero dell’Interno tunisino, ossia che al-Touil «era presente a Tunisi» il giorno dell’attentato – con quale mezzo di trasporto ha lasciato il nostro Paese e come è riuscito in seguito a rientrare, nonostante il decreto di espulsione pendente sul suo capo?Per ora, i punti fermi sono pochi: il principale è il corposo mandato di cattura internazionale chiesto dalle autorità tunisine all’Interpol di Lione, con sei capi d’accusa pesantissimi (da omicidio volontario premeditato a cospirazione per commettere attentati, passando per il reclutamento e l’addestramento di terroristi). Anche se non specifica le fonti di prova, è un atto ufficiale dell’autorità di un altro Paese, al quale seguirà una richiesta di estradizione, e dunque magistratura e forze dell’ordine italiane lo tengono nella dovuta considerazione. Il secondo è il suo ingresso nel nostro Paese: era stato «fotosegnalato » e identificato con le impronte digitali a Porto Empedocle il 17 febbraio, appena sbarcato da una nave militare con altri migranti soccorsi in mare. Quel giorno, riferiscono fonti del Viminale, non aveva presentato richiesta d’asilo (né avrebbe potuto, in quanto nato in Marocco) e quindi aveva ricevuto un decreto di espulsione con l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni. Da allora, però, è finito fuori dai radar e sui suoi movimenti è calata la nebbia, fino a cinque settimane fa, quando i nostri 007 sono stati allertati da Tunisi e – attraverso il Comitato di analisi strategica anti terrorismo (Casa) – hanno condiviso l’informazione con Polizia e Carabinieri, facendo partire le ricerche. A parte il decreto di espulsione, ammette il capo della Digos milanese Bruno Megale «per noi era un perfetto sconosciuto». Per due settimane, le indagini hanno girato a vuoto. Poi l’Antiterrorismo della Polizia ha messo a frutto un’informazione preziosa: a metà aprile sua madre aveva denunciato ai Carabinieri di Trezzano sul Naviglio lo smarrimento del passaporto di Abdel. Un fatto singolare e sul quale gli 007 s’interrogano. In ogni caso, da quel momento abitazione e famiglia sono state tenute d’occhio, fino all’arresto di martedì sera: «Non ha rilasciato dichiarazioni e stiamo cercando di capire che facesse in Italia e quali spostamenti abbia effettuato», osserva ancora Megale, specificando che «non risultava che in Italia frequentasse moschee vicine al fondamentalismo». Fonti degli apparati di sicurezza, pur non potendo rivelare altro per «ragioni di ulteriore approfondimento investigativo», dicono di poter «escludere» in ogni caso che il misterioso Abdel sia rientrato in Italia, la seconda volta, «ancora a bordo di un barcone». Potrebbe anche aver preso un aereo o un traghetto nell’area Schengen o aver attraversato non visto le frontiere di terra. Viaggi a parte, per l’intelligence italiana, lo «sconosciuto» Abdel resta per ora «una figura bidimensionale», nel senso che la maggior parte delle informazioni su di lui provengono dal mandato di cattura. Per un profilo «tridimensionale», ragiona un investigatore, servono altre informazioni, già richieste agli apparati di Paesi 'amici', a iniziare dal suo Stato d’origine, il Marocco. Quelle notizie, insieme ai documenti sequestrati e ad eventuali dichiarazioni dell’arrestato, potranno fornire altre tessere
Il mistero: "uno sconosciuto" per la Digos, che sta ricostruendo il passato del marocchino arrestato nel Milanese con l'accusa di complicità con i killer del Museo di Tunisi.
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