Alla fine, incredibilmente, pare che stia diventando un patrimonio comune l’idea che la fine dell’euro comporterebbe la fine dell’Unione Europea, parola di Sarkozy, perché se anche quest’ultima non coincide con Eurolandia di sicuro l’euro rappresenta la scommessa più ambiziosa del progetto europeo e ben difficilmente il secondo potrebbe sopravvivere alla morte del primo. Non è poco, se solo consideriamo che fino a pochi mesi fa il mantra degli 'euroillusi' (o euroillusionisti?) era «non si può uscire dall’euro perché non esistono le procedure per farlo». Un’idiozia paragonabile a quella di sostenere che «non si può morire se prima non si è fatto testamento»… Ora che ci avviciniamo all’orlo del baratro si fa più chiaro che invece per l’Italia come per altri Paesi le alternative possibili sono due, evidentemente dagli esiti non precisamente identici.
La prima alternativa è quella di uscire dalla moneta unica, cosa che avverrà puntualmente se il governo Monti non riuscirà a realizzare rapidamente e integralmente le riforme domestiche strutturali per le quali ha ottenuto la fiducia. Sarebbe uno scenario estremamente pericoloso per un Paese come il nostro, dove al disordine dei conti pubblici occorre sommare la caduta verticale di consenso e legittimazione della politica, la crescente disoccupazione (innanzitutto giovanile e femminile), la pluridecennale non crescita economica (con conseguente peggioramento qualitativo del comparto industriale), la sperequazione tra privilegiati garantiti e resto del mondo (ancor più inaccettabile in tempi di crisi) e la penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico e in quello politico. Come è stato sintetizzato dalla cancelliera Merkel nel suo discorso di ieri, il crollo dell’Italia, date le dimensioni del Paese, provocherebbe probabilmente la crisi dell’intera Eurolandia e la fine dello stesso euro.
La seconda alternativa è quella di intraprendere le strade delle riforme italiane ed esercitare tutta la pressione necessaria per realizzare congiuntamente quelle riforme europee senza le quali, comunque, la sopravvivenza dell’euro risulterebbe compromessa. Come economisti del calibro di Krugman hanno sempre ribadito, e come diversi politologi hanno sostenuto a lungo inascoltati, il progetto dell’euro nasce in realtà monco. Il trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali all’Unione è un trasferimento a metà (e quindi un non-trasferimento), perché se sottrae ai singoli governi lo strumento della svalutazione competitiva, lascia però nelle loro mani le politiche fiscali. Da un lato la rilassatezza con cui i parametri di Maastricht sono stati applicati (in particolar modo da quando la Francia ne chiese la sostanziale sospensione alla fine del 2008), dall’altro l’impossibilità per la Bce di svolgere la propria azione anche a favore della crescita oltre che a salvaguardia della stabilità dei prezzi ha reso l’euro una coperta troppo corta per le economie di tutta la zona euro.La vera debolezza all’interno della Ue non è rappresentata dalla mancanza di un’astratta solidarietà. Il vero punto debole si chiama euro. Perché così com’è congegnato, completamente privo di protezione politica rispetto all’azione incoscientemente sperperatrice di alcuni governi e ristrettamente arcigna di altri, l’euro finisce con l’essere troppo spesso la perfetta cinghia di trasmissione delle tensioni speculative dei mercati. Ben venga quindi la necessaria riforma dei Trattati sull’Unione Europea, ma a condizione che non vada nella direzione sbagliata, ovvero in quella del ripristino delle frontiere interne o della semplice introduzione di penalizzazioni automatiche nei confronti degli Stati reprobi di 'finanza allegra'. Quel che occorre è invece la creazione di un governo delle politiche fiscali a livello di Eurolandia, capace di coprire le spalle all’euro e di rappresentare un credibile paladino rispetto alle sfide della speculazione.
Se non completeremo il trasferimento di sovranità iniziato con l’introduzione dell’euro, l’unica alternativa possibile che sarà imposta all’Italia come alla Germania dall’inesorabile logica delle cose sarà il disastroso ritorno alle monete nazionali. Altro che l’euro a doppia velocità...