In effetti era un po’ di tempo, poco più di due anni sono passati dall’operazione scudo fiscale, che in Italia non si parlava con insistenza di condoni. E dunque non ci si dovrebbe sorprendere del fatto che il dibattito politico abbia ritrovato nel tormentone di una nuova sanatoria un valido e collaudato argomento di confronto e di scontro. D’altronde, nell’era dell’incertezza climatica, l’unica stagione che sembra essere sempre fedele a se stessa è quella del condono, edilizio o fiscale che sia. Dal 1973 in Italia ne abbiamo avuto in media uno ogni tre anni. Non è mai passato un lustro senza che un governo non avvertisse la necessità di varare un qualche provvedimento per consentire di sanare violazioni pregresse. E così noi italiani abbiamo imparato che, periodicamente e con regolarità, come i mondiali di calcio o le olimpiadi, a un certo punto un bel condonino arriva.Ed è proprio questa certezza, frutto dell’abitudine a vedersi abbuonati abusi e contenziosi dietro il pagamento di una somma modesta, l’aspetto preoccupante, la ragione che deve spingere a ritenere un ennesimo condono non più accettabile moralmente e non più sostenibile economicamente. Già, perché le ragioni materiali e razionali pesano tanto quanto quelle etiche. È – o dovrebbe – essere evidente a tutti che la "logica" di una sanatoria, pur nella comprensibile intenzione di recuperare risorse per fronteggiare un’emergenza fiscale dello Stato, regge fintanto che il provvedimento mantiene un suo carattere di occasionalità. Anche un bambino capirebbe in fretta che se il "condono" delle marachelle diventa la regola a scadenza fissa, allora tanto vale continuare a comportarsi male. Eppure ci risiamo, e con straordinario tempismo. Se ne riparla. E ad appena due anni dall’ultima sanatoria. Un pesantissimo azzardo per la tenuta del tasso di credibilità dello Stato e dei suoi apparati tributari. Non c’è da stupirsi se, a riprova dei guasti dell’abitudine, il bilancio finale dei vari condoni sia sempre di gran lunga inferiore rispetto alle attese, come l’Agenzia delle Entrate ha fatto rilevare. E, allo stesso tempo, rimane ben poco da rimproverare agli osservatori e alle agenzie internazionali quando valutano l’incertezza politica italiana come fattore di debolezza, se di condono si continua a ragionare nella maggioranza nonostante la contrarietà espressa sia dal ministro dell’Economia sia da una nota ufficiale di Palazzo Chigi.Il rifiuto della (il)logica del condono sarebbe diventato addirittura una «intimidazione». Incredibile, tanto quanto il non concentrarsi su misure a maggior tasso di equità, per recuperare risorse dalle ricchezze "nascoste" e orientarle alla riduzione del debito. Tanto quanto il non rendersi conto che "intimidatorio", ma nei confronti della rinnovata e intensificata battaglia contro l’evasione fiscale, è proprio lo sbandieramento di una nuova sanatoria a vantaggio dei "furbi".Due anni fa, commentando lo "scudo fiscale" in via di approvazione, questo giornale aveva concesso un margine all’emergenza, auspicando che quel provvedimento fosse accompagnato «dall’impegno a scolpire nel marmo la solenne volontà di non riproporre più» un regalo ai fiscalmente disonesti «di questa natura e di questa portata». «L’atto con cui si sta varando questa nuova sanatoria – scrivevamo ancora – deve tracciare un confine invalicabile». Ecco, questo confine, oggi, rischia di essere oltrepassato di nuovo. Peraltro in una fase della lotta all’evasione nella quale si comincia a ragionare – e anche a questo proposito tanto abbiamo scritto e argomentato sulle nostre pagine – della necessità di uscire dalla esclusiva logica sanzionatoria per cominciare finalmente a "premiare" chi le tasse le paga. Se fosse così, sarebbe un passo avanti di portata epocale. Il macigno, culturale ed economico, di un nuovo condono sbarrerebbe la strada a questa evoluzione. E sarebbe un disastro.