C’è un’altra emergenza con cui il governo Monti è chiamato a confrontarsi. L’emergenza di Azzardopoli, la metropoli virtuale del gioco – legale e no – che sta crescendo a dismisura e invischia la vita di migliaia di famiglie, risucchiandola in un gorgo limaccioso, alimentato dall’eterna e vana illusione di una vincita che «ti sistema». Un’emergenza che è il risultato di una miopia che ha consentito di strutturare, e radicare come mai prima, pratiche di 'gioco' che rappresentano un vero attentato alla società. Un’emergenza che non può più essere ignorata. E, così come è responsabilmente accaduto con lo scottante dossier della crisi finanziaria, il governo si sta rendendo conto di dover passare subito all’azione. Qualcuno, magari, si chiederà: ma che c’entra Azzardopoli con la missione salva-Italia di un governo 'tecnico'? Per fortuna però tanti altri, anche nel governo e in Parlamento, hanno già aperto gli occhi e si stanno facendo le domande giuste su un fenomeno esploso ormai a livelli patologici, sino a raggiungere un profilo che si può definire di 'sanità pubblica'. Basta una manciata di dati a inquadrarlo. Gli italiani nel 2011 hanno speso per i giochi (solo quelli legali) 76 miliardi di euro, pari a più di 1.200 euro a testa, neonati compresi, otto volte di più di quanto i privati impegnano mediamente per l’istruzione. E gli analisti stimano che già quest’anno sarà superata, e di molto, quota 90 miliardi. Per intenderci, 9 miliardi in più del 'conto' che pagheremo per tutte le manovre di bilancio varate nel 2011, l’anno più drammatico della nostra economia. È una crescita esponenziale favorita dal moltiplicarsi delle offerte, fra lotto e lotterie, gratta e vinci, sale Bingo, videogiochi, casinò online, slot-machines, videopoker...
Solo a Roma ci sono 50mila slot: nei locali pubblici è più facile trovare una macchinetta che un biglietto del bus. E, così come sempre, a giocare di più è chi meno ha, con gli effetti devastanti che ciò comporta sui giocatori compulsivi e sulle loro famiglie (e con non rare cadute nel campo dell’usura). Siamo, di fatto, al cospetto di una tassa sulla povertà e sulla dipendenza; a una sistematica sottrazione di risorse ai più deboli. E un argine va posto. Subito. Nei giorni scorsi il ministro Andrea Riccardi ha anticipato che si sta studiando «la possibilità di vietare, come per le sigarette, gli spot pubblicitari », spesso 'aggressivi' nei toni, certamente nei fatti. Il suo collega Renato Balduzzi ci conferma oggi che il dossier è più che aperto. L’urgenza dev’essere perciò la stessa data nei mesi scorsi alle decisioni sul pareggio di bilancio e sullo spread. Serve una legge che fissi il principio, e ci sono i presupposti sia per vararla in forma di decreto, con efficacia immediata, sia per accompagnarla con una campagna sociale che sottolinei i rischi della pratica-gioco. Si dice che 'la pubblicità è l’anima del commercio', ci sono però commerci senz’anima che non possono e non devono essere pubblicizzati. E, poi, è tempo di un cambiamento di visione a 360 gradi. Serve una nuova normativa di settore. E serve il coraggio di cominciare a fare a meno di un po’ delle 'comode' entrate garantite dai giochi. Una rinuncia onerosa, certo, visto che nell’intero 2011 lo Stato ha incassato 13,7 miliardi, l’8,4% (un miliardo tondo) in più sul 2010. La prova? Proprio ieri alla Camera si è dibattuto su un emendamento che ricaverebbe dai giochi (oltre che da maggiori tasse sugli alcolici) i soldi necessari per 10mila assunzioni nella scuola. Forse non se ne farà niente, ma pensiamoci: una norma socialmente importante, 'contaminata' da una copertura socialmente discutibile. È come dire che, se si bevesse e si giocasse di più, si potrebbero assumere altri 10mila prof. Una politica responsabile non può ignorare le ricadute sociali di ogni sua decisione, di ogni suo messaggio. Tutto si salda. E giustamente il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ci ha appena ricordato con lucida e accorata denuncia che «quando si bruciano risorse, inseguendo miraggi, resta solo la cenere». Il "governo dei tecnici", anche su questo fronte, è impegnato a dimostrare il coraggio di parlare e agire con chiarezza, sfidando l’impopolarità. Può venirne solo un ulteriore recupero di credibilità per il Paese intero. Non è solo lo spread che ci tiene sotto scacco. E il cittadino non va tutelato solo dai cinici "signori dei mercati", anche quella sull’azzardo è pura speculazione. L’Italia può batterla tornando coi piedi per terra. Forse sognando un po’ di meno, certo guardando più lontano.