martedì 26 marzo 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Guardo la foto dei due presidenti della Repubblica, quello italiano e quello tedesco, mano nella mano a Sant’Anna di Stazzema, domenica scorsa, e penso: «Finalmente ci siamo arrivati, è un atto necessario per la riconciliazione, in passato era inimmaginabile, e questo era il problema della mancata unità morale dell’Europa». Questa foto non è la giustizia. Non è stata fatta giustizia, sull’enorme strage di Sant’Anna di Stazzema, perché la magistratura italiana ha chiesto alla magistratura tedesca d’indagare sugli ufficiali che comandavano il reparto che ha agito sul luogo, ma nello scorso ottobre la magistratura tedesca ha deciso di archiviare. Sulle possibilità e modalità del fare giustizia sugli immensi crimini della seconda Guerra Mondiale politici, filosofi, scrittori dell’area austro-germanica hanno molto ragionato, perché il problema stava in questi termini: la patria ha ordinato a questi soldati di fare quel che han fatto, può adesso la patria condannarli? Ma se non li condanna, come facciamo noi, figli della stessa patria, a vivere con l’eredità di questa colpa? La soluzione elaborata dal filosofo Jürgen Habermas, ma di fatto poi adottata, in silenzio e forse inconsapevolmente, dai politici, sosteneva che «il passato non è un dato», ma «è un elaborato». Noi non ereditiamo tutto il passato del popolo a cui apparteniamo, ma solo la quota che accettiamo. Se questo vuol significare che le colpe dei padri non sono colpe dei figli, va bene: non si condannano i figli per le azioni dei padri. Ma se quelle azioni sono criminose, soltanto condannandole i figli ne escono. Venendo a Stazzema, dichiarando che in quel luogo «è stata offesa la dignità umana», che «i crimini vanno chiamati sempre col loro nome», il presidente tedesco non ha ignorato il passato, ma lo ha condannato. C’era un sopravvissuto alla strage, davanti a lui. La strage è del 12 agosto 1944, il sopravvissuto si chiama Enrico Pieri, è lui che ha scritto a Napolitano perché invitasse a scendere il presidente tedesco Joachim Gauck, e Joachim Gauck, guardandolo negli occhi, gli ha detto: «Io m’inchino davanti a lei». Il filosofo Jürgen Habermas è ancora vivo, oggi ha 84 anni: spero che questa cronaca sia uscita sul giornale che lui legge, e che lui capisca che questa richiesta di perdono, e non l’oblio, è la soluzione. Sant’Anna di Stazzema dice a me alcune cose in più, oltre a quelle che dice agli altri. C’è un premio letterario intitolato Sant’Anna di Stazzema. Lo danno a opere che raccontano stragi e colpe ingiudicate e inespiate. Nel 1994 lo diedero a un mio romanzo, Mai visti sole e luna, nel quale narravo le rappresaglie tedesche nei paesi dei Colli Euganei, dove vivo. Vado a Stazzema, e apprendo alcune modalità della strage che sarebbe bene che tutti in Germania, e specialmente Habermas, conoscessero. Scendendo dal monte sul quale avevano fatto l’orrido macello, i soldati tedeschi spingevano un commilitone a suonare, e così il reparto scendeva al suono della fisarmonica. Quando scrivevo quel libro, io credevo che nei Colli Euganei le vittime fossero una trentina. Sono andato a trovare uno storico che stava sui Colli, si chiama Francesco Selmin, l’ho spinto a fare delle ricerche e scrivere un libro. S’è messo al lavoro. Ogni 2-3 mesi mi telefonava: «Le vittime sono di più, almeno 50», «Ancora di più, almeno 80», e alla fine: «Ho concluso, sono 130». Questa è la nostra colpa: neanche noi abbiamo fatto luce su quell’epoca. Un tedesco settantenne, che aveva preso parte alle rappresaglie, tornò sui Colli, sperando in una pacifica rimpatriata: «Tempi duri, è andata così, ma il passato è passato». Dovette scappare. Più rivisto qui. Penso a lui ogni tanto. Anche adesso. E mi domando: ma come può vivere, nascondendo il proprio passato, non rivelandosi neanche ai familiari? Non sarebbe meglio che facesse anche lui come il suo presidente?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: