martedì 11 giugno 2013
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Brinda a tante vittorie e qualche trionfo il Partito democratico nel giorno del tintinnare dei bicchieri (elettorali) semivuoti. E questo, in sostanza, significa per il partito oggi guidato da Guglielmo Epifani dover contare meno di tutti gli altri – a cominciare dagli sconfitti pidiellini e leghisti – le ferite ricevute da un elettorato chiaramente adirato con i vecchi e nuovi «signori della politica» e sempre più provato dalla crisi economica e sociale che piaga l’Italia e i suoi territori. Beati, insomma, in una platea di accecati, quelli che scoprono di vederci ancora almeno da un occhio... Anche se c’è il rischio che il gioco delle luci accecanti della «grande avanzata» amministrativa del Pd e del centrosinistra – la riconquista del Campidoglio dopo una sola consiliatura di centrodestra, la tenuta di Siena nonostante lo scandalo Mps, le lezioni impartite al centrodestra in tutti i capoluoghi di provincia compresa la Treviso a lungo infeudata alla Lega Nord – produca qualche effetto ottico, fomentando illusioni e riportando in auge le sicumere di un passato recente. L’idea già sentita – per capirci – di un partito solo al comando, tra le macerie. Sarebbe un disastro. Ed è una lezione buona per tutti: per i vincitori di oggi (il centrosinistra sul campo concreto, ma limitato, delle elezioni comunali) e per i vincitori presunti (il centrodestra sul campo teorico dei sondaggi nazionali), che guarda caso non sono gli stessi.È infatti vero, verissimo, che in qualunque consultazione democratica conta alla fine soltanto chi vota, ma è almeno altrettanto vero che sarebbe molto grave fare dell’allarme per la continua e crescente diserzione in massa dalle urne degli italiani soltanto un argomento da "prologo" ai festeggiamenti, alle autodifese, ai calcoli pignoli e alle (pochissime) autocritiche davanti ai dati numerici e "di potere" sfornati, tornata elettorale dopo tornata elettorale, dagli scrutini finali. Qualche subitaneo accento acuto e dolente e poi più niente, avanti come prima o, spesso, peggio di prima. No, dimenticarsi di quel che sta accadendo nel vivo del nostro sfiduciato corpo elettorale – a lungo il più coinvolto e partecipativo d’Europa – non si può più. E chi dovesse continuare a farlo non prenderebbe soltanto un rischio per così dire in proprio, ma contribuirebbe a svuotare di lontananza, disgusto e leaderismi (più o meno d’occasione) la nostra preziosa democrazia.Bene ha fatto, perciò, uno dei vincitori di ieri – il neosindaco di Roma, Ignazio Marino – a sottolineare quanto si senta interlocutore dei non-votanti, quanto cioè senta "pesare" il giudizio dei 55 elettori romani su 100 (erano stati 48 su 100 al primo turno) che, con una renitenza alle urne senza precedenti, hanno certificato sfiducia per la proposta politico-amministrativa che i candidati dei due partiti maggiori avevano articolato per la città capitale d’Italia. E bene faranno gli altri sindaci eletti a considerare con la stessa attenzione i concittadini che – poco di più o poco di meno – altrettanto hanno fatto lungo tutta la Penisola. Ma ancor meglio sarà se tutti costoro sapranno essere seriamente conseguenti con la consapevolezza della domanda di onesto ed efficace governo che una diffusa, incalzante e democraticamente "minacciosa" astensione ripete in modo ormai esplosivo.È il momento dei piedi per terra e degli occhi fissi – come la Chiesa italiana non si stanca di ripetere – sui problemi veri della gente vera (lavoro, servizi alle famiglie e alle fragilità, sicurezza civile e ambientale...). È il momento dell’impegno concreto e non degli slogan e delle iniziative ideologico-propagandistiche.Una sana consapevolezza che può e deve diventare la mappa di una lucida e pulita azione di governo locale. E che già puntella e motiva maggiormente la straordinaria (e straordinariamente complicata) azione di governo nazionale affidata a Enrico Letta e al suo esecutivo di "larga intesa". Insomma, questo è un tempo nel quale – a Roma e altrove, a livello centrale e a livello locale – non si può fare niente di meno che lavorare per ridare credito alla politica, tenere moralmente uniti gli italiani, e motivarli attorno a obiettivi condivisi e condivisibili di sviluppo civile e umano. Senza progettare e praticare forzature in sedi improprie, senza aprire campi di battaglia sulle questioni che investono «valori primari» – ieri Papa Francesco ha richiamato quello della vita umana che col dilagare della «"cultura dello scarto" non è più sentita come da tutelare e rispettare» – e sono purtroppo capaci, quelle forzature, di ferire l’opinione pubblica. I bicchieri (elettorali) ormai tutti desolatamente o trionfalmente mezzi vuoti, sono lo specchio esatto di altri vuoti: di fiducia (dal basso) e di attenzione (dall’alto). C’è da colmarli, non da approfondirli.
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