“Spero che questo incontro sia un cammino alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide” - ha detto Francesco - un incontro “accompagnato dalla preghiera di tantissime persone”, di religioni, culture e patrie diverse, ma che hanno pregato per un momento che, ha aggiunto Papa Francesco, “risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici”: “Signori Presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, è vero, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino”.
Quei figli sono caduti sotto i colpi di guerra e violenza, e in memoria di quegli stessi figli, affinché il loro sacrificio non sia vano, Francesco ha chiesto ai suoi ospiti di avere “il coraggio della pace, di perseverare nel dialogo ad ogni costo, e di avere la pazienza di tessere la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica”:
“Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”.
Per arrivare alla pace, dunque, ci vuole l’aiuto di Dio. Il Papa ha ricordato che la storia insegna che le sole forze degli uomini non bastano per raggiungerla, di qui l’urgenza di “alzare tutti lo sguardo al Cielo e riconoscerci figli di un solo Padre”. Il Papa ha quindi chiuso con una preghiera per chiedere l’intercessione della Madonna e che la parola ‘pace, shalom, salam’, diventi stile della nostra vita.
Un sentito ringraziamento a Francesco per aver condotto alla realizzazione dell’incontro in Vaticano è stato rivolto sia da Shimon Peres sia da Mahmoud Abbas che, in successione, hanno preso la parola per il loro discorso. Il presidente israeliano, che ha definito il Papa “costruttore di ponti di fratellanza di pace”, ha elevato la sua invocazione ribadendo la necessità di adoperarsi tutti per raggiungere la pace, anche a costo di sacrifici e compromessi, perseguendola anche quando sembra lontana, per portarla ai figli, perché questo è il dovere e la missione santa dei genitori: (parole in ebraico) “Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”.
La realizzazione della verità, della pace e della giustizia in Palestina è stata la richiesta di Mahmoud Abbas, perché il popolo palestinese, musulmani, cristiani e samaritani, desiderano una pace giusta, una vita degna e la libertà, un futuro prosperoso con libertà in uno Stato sovrano e indipendente. Abbas ha quindi citato Giovanni Paolo II, quando disse: “Se la pace si realizza a Gerusalemme, la pace sarà testimoniata nel mondo intero”:
(parole in arabo) “Perciò ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina e Gerusalemme, insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche”.
Con le parole del Papa, del presidente israeliano e di quello palestinese si è chiuso l’incontro di preghiera per la pace in Medio Oriente, suggellato dal gesto di pace di un cordiale abbraccio e da quello del piantare un ulivo di pace a memoria di un evento di portata storica.