giovedì 9 gennaio 2025
Giubileo: una vera riforma della Sanità per rimediare alla "povertà sanitaria", un impegno per vincere la solitudine dei malati: parla il direttore dell'Ufficio di Pastorale della salute, Angelelli
Visitare gli infermi, sono loro i nuovi poveri (di salute)

Foto Siciliani

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La rinuncia alle cure per problemi economici, la piaga delle liste d’attesa, ma anche solitudine e dolore: perché il Giubileo è l’occasione per intervenire Il Presidente della Repubblica, nel discorso di fine anno, ha lanciato l’allarme delle liste d’attesa, rilevando come molti cittadini rinuncino a curarsi per motivi economici. Qual è l’esperienza della Chiesa sull’avanzare della povertà sanitaria in Italia?

Su questo tema – ci risponde Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana – lo scorso novembre a Roma abbiamo riflettuto con le undici Federazioni sanitarie italiane, che rappresentano un milione e mezzo di curanti, in vista del Giubileo. Dalle loro analisi, è emerso un trend costante: aumenta il numero delle persone che rinunciano alle cure e aumenta la spesa dei privati ( out of pocket). Le prime sono oltre 4,5 milioni e la seconda nel 2023 ha sfondato i 40 miliardi e nel 2024 si attesta sui 44. Siamo preoccupati, perché il Servizio sanitario nazionale è definito universalistico dalla Costituzione, e questo principio lo stiamo tradendo.

Il direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute don Massimo Angelelli

Il direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute don Massimo Angelelli - Foto Siciliani

La Cei ha denunciato questi fenomeni anche sulla base dei dati dell’Istat e del Censis: perché di fronte a numeri tanto chiari persiste una sordità delle istituzioni pubbliche?

La sanità è una realtà molto complessa ed è ingenuo pensare che il problema sia uno solo. Il Fondo sanitario nazionale, ad esempio, lo stabilisce il Mef. Sono cresciuti i finanziamenti, ma se consideriamo l’inflazione sono de facto diminuiti. E poi, dopo la riforma del titolo V della Costituzione la sanità è gestita a livello regionale con sensibilità e metodologie differenti. La conseguenza è stata la creazione di fasce di cittadini si serie A, di serie B e anche di serie C, come dimostra il pendolarismo di coloro che per curarsi debbono “emigrare” con pesanti costi a carico delle famiglie. In un editoriale pubblicato in questi giorni su The Lancet si afferma chiaramente che la legge sull'autonomia differenziata, se approvata, decentrerà ulteriormente la governance sanitaria, approfondendo la frammentazione e le disparità tra regioni invece di promuovere una raccolta e una condivisione armonizzate dei dati, indispensabili per la verifica dei risultati operativi. Insomma, mi sono fatto l’idea che serva una riforma globale: gli aggiustamenti non risolvono, i finanziamenti una tantum neanche, gli attori della sanità debbono trovare un vero equilibrio.

Entriamo nel vivo della questione: i soldi (del Servizio sanitario) mancano o sono spesi male?

La scena è nota. Ogni anno il ministro della Salute va dal collega dell’Economia per chiedere un miliardo in più. Eppure, gli esperti dicono che sperperiamo circa trenta miliardi in medicina difensiva, mancata appropriatezza e cattiva gestione dei farmaci. Mi chiedo quale sia la logica della questua. Torno a dire che serve una riforma complessiva, che riorganizzi la struttura del Ssn, i suoi attori e le sue articolazioni.

La Costituzione sancisce il diritto universale alle cure. La politica della spesa pubblica la nega di fatto. Come se ne esce?

Di fatto ripartendo dal presupposto che i cittadini devono avere l’accesso alle cure e deve essere assicurato a tutti coloro che hanno maggiori difficoltà: c’è un problema tra eguaglianza ed equità, un divario che vale tra categorie sociali ma anche tra le diverse patologie, ad esempio le patologie croniche.

Negli ultimi anni abbiamo sperimentato le conseguenze della fragilità della sanità territoriale. Dopo il Covid è cambiato qualcosa?

La vera differenza è che oggi ne siamo coscienti. Prima potevamo dire che erano scelte, o dinamiche, mentre abbiamo preso atto della nostra impreparazione. Mi sembra che abbiamo imparato poco da quell’esperienza.

Uno dei problemi della sanità è la crisi di “vocazioni” dei medici di base. Ma esiste un problema più ampio di personale...

Quelli che mancano in particolare sono gli infermieri e alcune tipologie di professionisti sanitari. Tra pochi anni avremo un numero di medici sufficiente, ma a oggi non scelgono la medicina di base o di emergenza. Dobbiamo bilanciare questa situazione in base a obiettivi e fabbisogno. La crisi di vocazioni si è acuita dopo il Covid. I media hanno raccontato la retorica degli eroi ma nessuno vuol fare l’eroe e nemmeno il martire. Sono professionisti ed è anche giusto che siano retribuiti in modo adeguato.

La Chiesa si è mobilitata per portare in Italia figure sanitarie che non si trovano più: come sta andando?

Sta andando molto bene. C’è lo scoglio della lingua, naturalmente. Poi ci sono difformità tra i profili nei diversi continenti. Nel giro di pochi mesi i professionisti del Progetto Samaritanus Care saranno in corsia.

In questa emergenza, alcune categorie di malati rischiano di più: gli anziani e i morenti. Quali consigli darebbe al legislatore?

Il nodo dei malati cronici resta lì. Le famiglie fanno grandi difficoltà perché se ne fanno carico solo loro e i pazienti rischiano di convincersi di essere un peso per la società. È iniquo. Il legislatore deve creare le condizioni per cui il tempo della malattia sia vissuto dignitosamente e anche senza dolore. La legge 38 ha quindici anni ed è tra le meno applicate: in intere regioni non esiste un vero servizio di cure palliative, tantomeno domiciliari. Così stiamo generando sacche di scarto di persone che muoiono nel dolore o scelgono di morire perché non hanno alternative.

Siamo all’inizio dell’anno giubilare: uno dei modi per ottenere l’indulgenza è “visitare gli infermi”... Come funzionerà il Giubileo dei malati?

Siamo grati a papa Francesco che ha inserito di nuovo – come nel 2016 – le attività delle opere di misericordia come opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine. Nella Bolla di indizione si dice: «E la gratitudine raggiunga tutti gli operatori sanitari che, in condizioni non di rado difficili, esercitano la loro missione con cura premurosa per le persone malate e più fragili». Per il nostro mondo significa che ricostruire la relazione con Dio è legata a ricostruire le relazioni con gli altri. Visitare il malato significa sottrarlo alla solitudine. Fare il Giubileo e farlo fare a loro.

Quale sarà l’appuntamento giubilare più importante in questo ambito?

Il Giubileo dei malati sarà il 5 e 6 aprile 2025, anticipato da alcune iniziative tra le quali il 3 aprile ci sarà quello della salute mentale, con un incontro di studio che si concluderà varcando insieme la Porta Santa.

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