Vestiti scelti e pagati. Alimentazione rigidissima. Dopo l’iperstimolazione ovarica, l’impianto dell’embrione e l’accertamento della gravidanza, da due a quattro controlli a settimana in clinica. E poi una media di tre telefonate al giorno: «Hai mangiato oggi? Quanto pesi? Mi raccomando, qualsiasi dolore anomalo, chiama subito il dottore. Il bambino è prezioso». Duro, il mestiere di una madre surrogata. Merce vivente, che merce altrui porta nelle sue viscere.Viene in mente un vecchio film di fantascienza: in uno sconfortante futuro si muovevano uomini-chiavetta usb, con pacchetti di dati e informazioni segreti registrati nel cervello. Poco importava dell’essere umano, molto del suo bagaglio. Così, della madre surrogata, poco importa al business delle biotecnologie e persino agli aspiranti padri e madri che le commissionano un bambino su contratto. Le fanno regali, mandano fiori e cartoline, a volte si presentano alla porta di casa, sorridenti e disponibili. Ma la sostanza resta la stessa: serve una macchina da figli e se quella macchina è in vendita, allora si acquista.Tutto fila liscio, finché la donna ha il sopravvento sulla macchina. E d’improvviso il figlio che ha portato in grembo – che ha sentito muovere e perfino bussare contro l’ombelico – lo vuole per sé. A tutti i costi. La natura che affronta la biotecnologia. In Inghilterra è un faccia a faccia che conoscono bene. Lì la legge sull’utero in affitto, d’altronde, è tutta speciale: stabilisce che la madre surrogata abbia il diritto di tenere il bambino, anche se il materiale genetico con cui è stato concepito non è suo. Non a caso, quando questo succede, le sentenze dei giudici sono tutte a favore delle “madri di fatto”: «Il processo naturale di portare una vita dentro di sé e metterla al mondo crea un attaccamento così forte da portare la madre surrogata a non potersi più staccare dal suo piccolo», scriveva nel 2011 un giudice di Birmingham, rifiutando la pretesa avanzata dalla coppia che aveva “assunto” la madre in questione. Stesso copione per i coniugi asiatici che l’anno scorso si sono visti rifiutare dalla madre surrogata i due gemelli partoriti (peraltro col patrimonio genetico di entrambi): «Mi avevano promesso 25mila sterline – ha raccontato la donna ai tabloid inglesi –, ma quando me li hanno portati ho sentito qualcosa che mi si rivoltava dentro. Gli ho detto che i miei due bimbi non hanno un prezzo e non sono in vendita». E quelli subito a darle della truffatrice, della ladra di figli.Ma di madri che cambiano idea ce ne sono anche nella vicina e tormentata Ucraina. Dove gli italiani hanno scoperto il paradiso della genitorialità on demand. Succede che proprio una coppia di italiani abbia scritto, nel 2011, una disperata lettera-appello su un sito russo dedicato alla maternità surrogata. Il portale (surrogacy.ru), che sponsorizza la tecnica a Mosca e dintorni, ha uno spazio dedicato alle esperienze degli aspiranti genitori. Obiettivo: mostrare come altrove manchino garanzie e in Russia (ovviamente) no. Ecco allora ospitata la denuncia dei due sfortunati italiani sulla “truffa” che hanno subito in Ucraina: «Ci siamo recati da un’agenzia per un programma di maternità surrogata – scrivono i due –. I bambini (due gemelli) sono nati e la surrogata li ha registrati a suo nome e ora rifiuta di darceli».Con la “surrogata” in questione, e suo marito, la coppia italiana è anche finita in tribunale (in Ucraina), dove i primi hanno dichiarato «che i bambini sono loro», visto che la donna li ha partoriti. E dove gli italiani sono stati accusati di volerglieli rubare. Nell’affare sarebbe coinvolta la stessa clinica a cui si erano rivolti, la Biotexcom di Kiev, che non avrebbe vigilato a dovere e che non ha voluto saperne – sempre secondo il racconto dei coniugi nostrani – di restituire i soldi versati. La Biotexcom è nota in Italia: è la clinica a cui si sono rivolte molte delle coppie finite in tribunale da noi, ultima quella milanese. Non è dato sapere come la questione legale dei due italiani si sia risolta. In tema di maternità surrogata sono altre le sentenze che fanno notizia.