Déjà vu. Un film già visto: un nuovo attacco al diritto all’obiezione di coscienza dei medici nei confronti dell’aborto, che le lobby antinataliste cercano di far rimbalzare in Italia con l’avallo di qualche istituzione europea, anche se sprovvista di ogni potere giuridico. È quanto si sta tentando di realizzare a partire da ieri, anticipando a bella posta nella festa della donna, un documento non ancora diffuso ufficialmente dal Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa. Quel testo, tra l’altro, afferma che il nostro Paese «a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza viola i diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla legge 194 intendono abortire». È bene sapere, come puntualizza Eugenia Roccella (Ncd), che a parlare è «un oscuro organismo con nessun valore di rappresentanza politica e democratica». In ogni modo le affermazioni del comitato sono prontamente confutate dal ministero della Salute con un suo comunicato. «In Italia il carico di lavori per i ginecologi non obiettori si è dimezzato passando da 3,3 aborti a settimana nel 1983 agli attuali 1,7», mette in chiaro il dicastero retto da Beatrice Lorenzin. Quindi se un problema c’è, non è dovuto all’elevato numero di obiettori o al massacrante carico degli altri medici, ma semmai all’organizzazione a livello regionale. Se si vanno a spulciare, poi, i dati regione per regione le affermazioni del ministero risultano rafforzate. Infatti si va da un minimo di 0,5 aborti a settimana della Val d’Aosta a 4 a settimana del Lazio per i medici non obiettori, ed anche i dati sui tempi di accesso confermano questa spiegazione. Proprio per questo Lorenzin ha avviato un monitoraggio mirato a raccogliere dati sulla distribuzione nel territorio, perché finora dispone solo di dati complessivi di ogni regione. Pretendere, poi, che in tutti gli ospedale si facciano gli aborti, è una richiesta solo ideologica. Infatti con la ristrutturazione in corso stanno chiudendo anche vari punti nascita, servizi sanitari che interessano un fenomeno assai più rilevante, se non altro, in termini numerici. Comunque a prendere di mira l’Italia e il nostro rispetto di un valore fondamentale come la coscienza, è ancora una volta è l’International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf), una lobby abortista internazionale, che avrebbe presentato "un reclamo" al comitato dei diritti sociali. «Non è la prima volta che questa organizzazione non governativa antinatalista, che promuove aborto e contraccezione spesso con metodi discutibili, cerca di attaccare l’Italia sulla legge 194», ricorda Roccella, ex sottosegretario alla Salute. Nell’ottobre del 2010 la battaglia delle lobby abortiste contro la libertà di coscienza fu condotta su ampia scala, con un documento che doveva riguardare tutti Paesi del Consiglio d’Europa, avendo come bersaglio prioritario l’Italia. Ma l’assemblea parlamentare che rappresenta ben 47 Paesi del Vecchio Continente, nel momento di decidere a maggioranza, cambiò completamente orientamento e approvò una solenne riaffermazione del diritto all’obiezione di coscienza. Ciononostante il segretario della Cgil Sussanna Camusso, dà un «grande valore» alla coincidenza surrettizia tra il documento del comitato e la giornata della donna. La sindacalista in una dichiarazione al "Corriere della Sera", ieri, aveva annunciato un secondo "ricorso" della Cgil a quell’organismo. Va chiarito, comunque, come fa il presidente del Centro europeo per la Giustizia e il Diritto di Strasburgo, Grégor Puppinck, che «il comitato non è un organo giudiziario, e quindi non è stata emessa nessuna sentenza. Il fatto grave è che il comitato consideri la gravidanza come una malattia da cui si ha il diritto di essere curati».