Il Cook Children’s Medical Center di Forth Worth, in Texas, dov'è ricoverata Tinslee
Tinslee Lewis guadagna tempo. Alla bambina texana, 11 mesi appena, ricoverata in condizioni gravissime al Cook Children’s Medical Center di Forth Worth per la rara patologia cardiaca e i disturbi epatici e sanguigni di cui soffre dalla nascita, avvenuta prematuramente, la seconda Corte d’appello della città del Texas ha concesso una chance sospendendo l’esecutività della sentenza del tribunale che martedì aveva dato facoltà all’ospedale di procedere col distacco dei supporti vitali. La Corte ha preso tempo per esaminare il caso riaprendo la ricerca di un centro clinico che voglia farsi carico del caso, andata a vuoto in novembre quando i giudici applicarono la legge texana «10 days rule» che prevede in casi come questo 10 giorni perché le parti trovino un altro ospedale disposto a curare un paziente dato per spacciato. E soprattutto disposto ad accollarsi le ingentissime spese per un caso estremo come questo – Tinslee, già operata al cuore, accusa anche problemi di pressione e ha già subito un arresto respiratorio in luglio, che ha costretto i medici ad attaccarla alla ventilazione meccanica –, un aspetto sul quale, come noto, la sanità americana non fa sconti a nessuno.
Se per Jay Duncan, uno dei medici curanti, su Tinslee le terapie non avrebbero più alcun effetto benefico, la mamma Trinity si sta battendo per non lasciarsi sottrarre la facoltà di avere l’ultima parola sulla figlia. Un caso che sta spaccando il Texas, con il governatore repubblicano Greg Abbott e il procuratore generale dello Stato Ken Paxton schierati al fianco dei diritti di Trinity. In particolare Abbott ha dichiarato la sua determinazione a sostenere la battagliera mamma «fino alla Corte suprema, se necessario».
Il caso di Tinslee ripropone la stessa domanda con la quale abbiamo già dovuto confrontarci, e che certamente ci chiamerà ancora in causa: della vita di un bambino hanno il diritto di decidere i genitori, i medici o i giudici? Vicende come quelle di Charlie Gard e Alfie Evans sono destinate a ripetersi, ogni volta chiamando in causa coscienza e buona informazione. I medici, che non hanno risparmiato attenzioni e cure, hanno deciso di non proseguire le terapie sostenendo che Tinslee soffre troppo e che sarebbe meglio staccare il supporto respiratorio. La ferma opposizione della madre Trinity ha però indotto l’ospedale pediatrico a chiamare in causa il giudice per decidere la sorte della piccola, avviando così un braccio di ferro legale nel quale Trinity è assistita dall’associazione «Texas Right to Life».
Il Cook Children’s però non intende recedere dal suo intento. E mentre manifesta solidarietà al dolore di Trinity, dichiara di essere «concentrato su ciò che è meglio per Tinslee», altro tema col quale abbiamo purtroppo preso familiarità. e che vuol dire una cosa sola: visto che la piccola soffre, il suo «miglior interesse» sarebbe morire. «Voglio essere io a decidere per lei» ha reagito la mamma, sfidando la legge texana che nelle scelte di fine vita tutela i medici di fronte a quello che possono ritenere accanimento terapeutico. Ma non doveva prevalere sempre l’autodeterminazione del paziente?