giovedì 10 novembre 2016
In Inghilterra una madre in affitto rompe con la coppia che ha prenotato due gemelli. Non firma l'atto legale ma i bimbi restano ai committenti. Una situazione surreale.
Surrogati o legali: chi sono i veri genitori?
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Chi sono i genitori di un bambino? È sempre più difficile rispondere nel Nuovo Mondo delle infinite varianti della fecondazione in vitro. L’ultimo fattaccio è successo in Gran Bretagna, dove una madre surrogata nel 2015 ha partorito due gemelli, dati subito in custodia alla coppia che li ha commissionati, e che in questo caso ha fornito anche i gameti. Una delle situazioni più "semplici": i futuri genitori legali sono entrambe legati geneticamente ai bambini, e la madre surrogata non ha ricevuto compenso esplicito, come previsto dalla legge britannica, che vieta la "surroga commerciale". Non è dato sapere l’entità dei "rimborsi" ricevuti dalla donna che ha partorito conto terzi. Tutto liscio, allora? Neanche un po’. Per la legge inglese la mamma è chi partorisce. La norma prevede che entro sei mesi dalla nascita venga emesso un parental order, un atto cioè in cui la madre cede il bambino a chi glielo ha commissionato secondo gli accordi stipulati in precedenza. Si tratta di un percorso diverso da quello adottivo, "cucito" su misura per l’utero in affitto, dopo di che i committenti diventano a tutti gli effetti genitori legali del nato. Nel caso in questione la madre surrogata non ha voluto concedere il parental order, e suo marito (padre legale dei gemelli) è d’accordo. Ma non c’è stato un ripensamento: i due non vogliono i bambini, che nel frattempo vivono con l’altra coppia. Il no è per la convinzione di aver subìto una grande ingiustizia.

Le due coppie hanno rotto i rapporti durante la gravidanza: al terzo mese i medici avevano espresso forti preoccupazioni per la salute della gestante, che aveva già compiuto 51 anni, e non era alla sua prima esperienza di surroga. Ma i committenti non erano stati sufficientemente empatici: pare non si siano interessati granché ai problemi di salute cui stava andando incontro la donna che si era prestata alla gravidanza, e il loro atteggiamento aveva offeso la donna incinta e suo marito, che hanno limitato al minimo i contatti con l’altra coppia, fino a non volerne più sentir parlare.La gravidanza poi è stata portata a termine e i committenti hanno cercato di riallacciare i rapporti, inviando più volte foto dei gemelli alla madre surrogata, che però ha fatto sapere di non volerne più ricevere e che, al dunque, si è rifiutata di avviare le pratiche per concedere il parental order «per senso di ingiustizia, e non per il miglior interesse dei bambini», ha spiegato la giudice Justice Theis, della Family Court di Canterbury. La conseguenza è un inedito limbo giuridico in cui si trovano i due gemelli: per la legge inglese continueranno a vivere con la coppia committente, i "genitori biologici e psicologici", che ne avranno la responsabilità fino ai 18 anni, mentre la madre surrogata e suo marito ne sono i genitori legali anche se non vogliono occuparsene, e lo resteranno per sempre, in assenza di parental order (che comunque teoricamente dovrebbe essere concesso entro sei mesi dalla nascita). La mamma surrogata e suo marito non si opporrebbero invece a cedere i gemellini in adozione, ma questa strada non è percorribile legalmente proprio perché le norme sono costruite per due percorsi diversi – adozione e utero in affitto – che non si incrociano.

L’atto di adozione prevede di trattare i bambini adottati come se fossero figli biologici dei genitori che ne chiedono l’adozione, ma in questo caso i gemelli sono effettivamente figli biologici (nel senso genetico) degli aspiranti adottivi, e la legge, come si può intuire, non prevede che siano i genitori biologici ad adottare il proprio figlio. D’altra parte il parental order rimuove il legame creatosi nella gestazione fra madre e figlio, cosa che non accade con l’atto adottivo. I giudici sperano in un ripensamento della madre surrogata, in mancanza del quale si può solo modificare la legge. La verità è che una volta cambiato il paradigma, e stabilito che si è madri (e padri) perché se ne è manifestata l’intenzione stipulando un apposito contratto, e non per aver concepito e partorito un figlio, bisogna essere pronti ad accettarne le conseguenze, tutte quante: la questione da risolvere adesso è quella dell’identità dei nati nel Mondo Nuovo. Di chi sono figli?

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