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Nasce negli Stati Uniti, ma ha visto la collaborazione di molti centri di ricerca italiani, lo studio internazionale che ha individuato un approccio terapeutico promettente su una forma di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) causata dalla mutazione genetica più comune tra i malati. Si tratta di un farmaco, acamprosato, già noto per combattere la dipendenza da alcol che si è mostrato efficace, su cellule motoneuronali derivate da pazienti, nel rallentare la progressione della malattia se l’origine della stessa dipendeva dalla mutazione del gene C9orf72.
Lo studio è stato coordinato dallo statunitense National institute on aging (che fa parte dei National Institutes of Health) ed è stato pubblicato sulla rivista Cell Genomics. I dati emersi dallo studio indicano che l’acamprazolo ha un effetto di protezione delle cellule neuronali paragonabile o maggiore rispetto al riluzolo, che è l’attuale standard di trattamento.
I gruppi di ricerca italiani coinvolti appartengono al Centro Dino Ferrari dell’Università degli Studi di Milano e alla Fondazione Irccs Istituto Auxologico Italiano (Silvia Peverelli, Cinzia Tiloca, Nicola Ticozzi, Federico Verde, Antonia Ratti e Vincenzo Silani) e alla Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano (Daniela Galimberti, Maria Serpente, Chiara Fenoglio, Elio Scarpini, Giacomo Comi, Stefania Corti e Roberto Del Bo). Il gruppo dei ricercatori fa parte del Consorzio SlaGen, fondato nel 2010 proprio per favorire la collaborazione nella ricerca genetica sulla Sla, «una garanzia per il progresso scientifico», commenta Vincenzo Silani, direttore del Laboratorio di neuroscienze dell’Auxologico e componente del Comitato scientifico della Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla). Co-autore senior dello studio è Isabella Fogh (King’s College di Londra) che è stata sostenuta anche dal Centro Dino Ferrari.
Lo studio ha analizzato dati genomici di oltre 41mila persone affette da Sla. I ricercatori hanno anche scoperto che i fattori genetici che influenzano il rischio di sviluppare la Sla sporadica possono modificare l’età di esordio nei pazienti con mutazioni di C9orf72, fornendo nuove informazioni sulla variabile espressione clinica della malattia.
«L’originalità dell’approccio – spiega Nicola Ticozzi, direttore dell’Unità operativa di Neurologia dell’Auxologico San Luca di Milano – sta nell’ avere inizialmente focalizzato la ricerca su varianti geniche influenzanti l’età di esordio dei pazienti con mutazione nel gene C9orf72 per utilizzare poi questa strategia per identificare molecole terapeuticamente efficaci».
Per gli studi in vitro si sono utilizzate le cellule staminali pluripotenti indotte (Ipcs) differenziate a cellule motoneuronali: «Un modello di prezioso significato biologico per testare molecole di impiego clinico» commenta Antonia Ratti.
Il fatto che il farmaco identificato sia già disponibile favorisce la possibilità che sia rapidamente sottoposto a trial clinici, osserva Stefania Corti: «Questo studio rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi alla base della SLA legata a mutazioni di C9orf72 e nell’identificazione di nuove terapie».
«Questi risultati aprono nuove prospettive per lo sviluppo di terapie personalizzate per i pazienti con Sla – conclude Giacomo Comi –. La possibilità di utilizzare un farmaco già approvato potrebbe accelerare significativamente il processo di sviluppo di nuovi trattamenti».