La pubblicità di Pro Vita e Famiglia
Ricorda un celebre manifesto di Scienza & Vita in vista del referendum 2005 sulla legge 40 la campagna lanciata a Roma da Pro Vita & Famiglia per denunciare il mercato della vita e della dignità umana fiorito attorno al fenomeno dell’utero in affitto. L’uomo in provetta che 14 anni fa contribuì a far riflettere gli italiani sulla degenerazione della vita umana manipolata in laboratorio senza alcun rispetto per la sua natura, con l’invito a far fallire i referendum abrogativi con i quali si puntava a liberalizzare del tutto la fecondazione artificiale, diventa ora un bambino in barattolo, col quale si vogliono far comprendere «gli orrori di questo commercio» invitando a prendere posizione «contro il business dell’affitto di uteri» e la «compravendita di ovuli». «Come il nascituro, anche le madri surrogate e le cosiddette “donatrici” di ovociti sono vere e proprie vittime di questo mostruoso sistema che deve finire – spiegano Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente di Pro Vita & Famiglia –. Il bambino non è un
prodotto né un oggetto da vendere o da regalare».
La campagna, che viaggia nel traffico romano a bordo di camion con le "ali" aperte sui lati, ha dovuto fare i conti con il pregiudizio ancor prima di essere esposta al pubblico: «Avevamo previsto anche delle affissioni nella Capitale – spiegano i promotori – ma le concessionarie contattate, per paura di un intervento sanzionatorio da parte del Comune di Roma come già successo, si sono tirate indietro», allusione a precedenti manifesti contro l’aborto. Segue una polemica col sindaco Virginia Raggi cui si chiede se «ha il coraggio di concentrarsi contro il vero degrado, sia morale che cittadino, o preferisce discriminare i bambini e ignorare la solidarietà nei confronti degli indifesi?».
Come la campagna di Scienza & Vita usava un linguaggio paradossale ma esplicito per scuotere le coscienze, così quella di Pro Vita & Famiglia invita a «guardare la vera faccia della cosiddetta maternità surrogata. È necessario – spiegano Brandi e Coghe – che gli italiani si chiedano, di fronte alle pretese al "diritto di filiazione", se tale desiderio rispetta il diritto del minore a non essere sfruttato come un oggetto dei desideri tra un Suv e una vacanza alle Bahamas. Abbiamo visto, con lo scandalo di Bibbiano, l’ossessione di avere un figlio a tutti i costi in cosa può degenerare».