Nel variegato mondo dei social netwok uno dei temi che più suscita interessi e reazioni – fino, purtroppo, ad arrivare, da parte di qualche intollerante, all'insulto, all'offesa, alla vera e propria intimidazione – è quello relativo alla vita nascente e all'aborto. Interessante è leggere e meditare i vari commenti che scaturiscono ogni qualvolta viene pubblicato un articolo, o la foto di un neonato, o quella di un feto captata dall'ecografo. Se a scrivere a favore della vita nascente è un maschio, o addirittura un prete, sovente qualcuno lo invita a farsi da parte: «Che ne sai tu del dramma dell'aborto? Se la legge lo permette, perché impedirlo? Chi non lo vuole fare non lo faccia, ma lasci in pace chi decide diversamente». Per tanti, quindi, sul dramma dell'aborto dovrebbe scendere un pesantissimo velo del silenzio, dimenticando che intorno a noi e sui social scrivono, leggono, vivono ragazzi, giovani, donne indecise, disperate, persone bisognose di un accompagnamento che non sempre trovano. Dimenticando che un bambino salvato dall'aborto non è un fiore all'occhiello sulla giacca di nessuno, ma una vittoria di tutti, abortisti compresi.
Le idee possono anche essere confutate, i fatti no. E un neonato che succhia sereno al seno della mamma è un fatto che pesa più della cupola di San Pietro. Certo, non c'è paragone, a riguardo, tra la parola di un maschio e quella di una donna. Ecco il motivo per cui vi propongo due testimonianze che dicono più di tanti libri pensati a tavolino.
«Avrei voluto anch'io un santo consiglio 38 anni fa» mi scrive da Ittiri, paese in provincia di Sassari, Nanna Sias, chiedendomi di rendere pubblica la sua confessione. Lo faccio. Ma qual è il «santo consiglio» che la signora Sias avrebbe voluto sentire e che non le arrivò? Ascoltiamo: «Ero molto lontana da Dio e prendere "quella" decisione mi era sembrato una sciocchezza, c'era la legge e potevo farlo... Il mio terzo figlio aveva 16 mesi... È stato terribile già dal giorno dopo, quando mi sono sentita vuota nel corpo e nell'anima. Sono stata male per oltre 30 anni». Nanna si è lacerata fino al giorno in cui qualcuno le dice: «Il Signore ti ha perdonato. Adesso devi perdonarti anche tu». Non le viene facile, ma lo fa. Chiede perdono a Dio, ai figli, e perdona se stessa. Da allora la sua vita cambia, guarisce dalla depressione, dà un nome al suo bambino non nato. Oggi, pur cosciente della complessità e della problematicità del dramma dell'aborto, lancia un appello: «A tutte le donne che stanno per compiere questo gesto terribile consiglio di farsi aiutare, perché non pensino che finisce tutto nel momento dell'aborto, ma è lì che inizia la grande fatica di andare avanti».
Un'altra donna mi raggiunge con un messaggio: «Mi chiamo Margherita e sono madre di 2 bambine. Nel 2017 è nata la mia seconda bambina e a febbraio 2018 ho scoperto di essere di nuovo incinta. In quei momenti mi sono sentita persa, avvilita, e ho scelto la strada che in quel momento mi è sembrata la più comoda, la più semplice: ho abortito. Poi, dopo alcuni anni, quando mi sono illusa che la mia vita scorreva tranquilla è bastata una frase di un amico a risvegliare prepotentemente la mia coscienza. Lui con la sua famiglia ha preso con sé tre bimbi in difficoltà. Mi sono ritrovata a fare i conti con la mia coscienza, proprio io che, da adottata, mi sono arrogata il diritto di non far nascere un'altra vita». Anche Margherita termina la sua dolorosa testimonianza con un invito alle donne in difficoltà a non arrendersi, a non rassegnarsi, a non cedere alla tentazione di credere che l'eliminazione del figlio risolverà i suoi problemi: «Esorto le donne che si trovano in questa situazione a rivolgersi a persone che sappiano consigliare per la difesa della vita, dono di Dio. Quando si è soli non si vede via d'uscita; quando ci sentiamo compresi e sostenuti il buio non vince sulla luce. In questi ultimi mesi sono riuscita a liberarmi da questo macigno confessandomi, provando con mano la misericordia di Dio, sentendo Dio non come un giudice ma come un Padre amorevole. Adesso sto assaporando una vita nuova».
Vogliamo ringraziare Nanna e Margherita, le loro testimonianze sono la migliore risposta a chi vorrebbe relegare nell'oblìo il dramma dell'aborto e, magari, far tacere chi si prodiga per mettere in salvo sia la mamma che il suo adorabile bambino.
Un bambino salvato dall'aborto non è un fiore all'occhiello di nessuno, ma una vittoria di tutti, abortisti compresi. Ecco due testimonianze dirette, che vanno ben oltre ogni possibile steccato
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