(foto d'archivio)
«Gli oncologi medici sono assolutamente contrari all’eutanasia, che è un concetto lontanissimo dallo scopo del lavoro di ciascuno di noi». Dopo l’udienza del 2 settembre in Vaticano con papa Francesco, Stefania Gori, presidente nazionale dell’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore del Dipartimento oncologico Irccs ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), lo ribadisce con fermezza: «Il nostro compito non è soltanto quello di decidere i trattamenti, gli esami diagnostici che devono essere fatti, ma anche capire qual è il valore della scienza medica, che è l’arte di stare vicini ai propri pazienti e ai loro familiari».
Perché avete voluto incontrare il Papa?
Il nostro incontro è nato dalla volontà di chiedere innanzitutto la sua benedizione e il suo supporto per il lavoro che ogni giorno facciamo e per dare anche una visione tangibile di come i pazienti con cancro e gli oncologi vivono nel quotidiano la sfida di questa malattia, stando gli uni accanto agli altri. Scegliere di andare da papa Francesco insieme ai pazienti ha rappresentato un esempio di come lavorano e dovrebbero lavorare i medici.
Quali sono i passaggi del discorso di Francesco che vi hanno colpiti?
Il Papa innanzitutto ha sottolineato la necessità di essere vicini ai pazienti ogni giorno, in ogni momento, in ogni fase della malattia. Ha poi parlato di come l’oncologia di precisione, della quale gli scienziati si stanno occupando tanto e che è legata alla necessità di scegliere i trattamenti in base alle caratteristiche particolari biologiche e cliniche dei pazienti, deve diventare l’oncologia della misericordia. È stato un esempio bellissimo. Secondo il Pontefice è quello sforzo che tutti i medici ogni giorno devono fare per dare un’attenzione particolare anche al malato e alle sue necessità di persona malata. E poi ha sottolineato il fatto che la tecnologia deve essere al servizio dell’uomo e non al contrario, e che l’eutanasia non dovrebbe essere considerata una scelta di libertà.
Qual è a questo proposito la vostra posizione?
Gli oncologi medici sono assolutamente contrari all’eutanasia, che è un concetto lontanissimo dallo scopo del lavoro di ciascuno di noi, ossia curare i pazienti, trattarli, guarirli, ma anche assisterli in ogni fase della malattia, anche in quella terminale, quando i sintomi del cancro e il dolore devono essere combattuti. È questo lo scopo del nostro lavoro: riappropriarci in maniera molto evidente di quello che deve essere il ruolo del medico, che non è soltanto decidere i trattamenti, gli esami diagnostici che devono essere fatti, ma anche capire qual è il valore della scienza medica, che è l’arte di stare vicini ai propri pazienti e ai loro familiari.
Secondo papa Francesco la pratica dell’eutanasia si basa su una visione utilitaristica della persona. Lei cosa pensa?
La nostra società negli ultimi decenni ha fatto propria questa visione: la persona ha valore se ha successo economico, cessa di averlo se non è più attiva. È un concetto profondamente sbagliato se si pensa a quanto noi invece possiamo imparare dalle persone anziane dai malati. Questo noi oncologi lo sperimentiamo ogni giorno.
Per alleviare le sofferenze sono previste le cure palliative, che però non sono ancora accessibili a tutti.
Lo stare vicino ai pazienti nelle fasi terminali significa trattare i sintomi, il dolore. Gli oncologi lo fanno da sempre ed è ciò che noi non dobbiamo mai dimenticare, anche all’interno di strutture organizzative che qualche volta tendono a far perdere il senso del nostro lavoro: fare la cosa migliore per ogni malato che viene a contatto con noi.
Grazie alla ricerca vengono messi a punto nuovi farmaci, ma i costi sono in continua crescita. Come sarà possibile garantire la sostenibilità del sistema sanitario?
Questo aspetto può rappresentare un problema, e in oncologia lo abbiamo affrontato negli ultimi venti anni. Ormai arrivano con maggiore rapidità farmaci ad alto costo e così, insieme alle istituzioni e al sistema sanitario nazionale, si è cercato di trovare criteri per identificare i farmaci effettivamente utili per i nostri pazienti e criteri con i quali gli oncologi prescrivono questi farmaci, seguendo le linee guida che Aiom elabora ogni anno in collaborazione con altre 45 società scientifiche. Devo comunque sottolineare che il nostro Servizio sanitario nazionale è tra i migliori al mondo perché ha come obiettivo quello di offrire i trattamenti più adeguati a ogni pazienti su tutto il territorio nazionale.
Esistono però ancora molte disomogeneità...
È vero, esistono e dipendono anche dai tempi con i quali vengono messi a disposizione i farmaci. In ogni caso, la sensibilizzazione di questa problematica a livello delle regioni è molto aumentata. Esistono poi nodi aperti a livello centrale, per cui quando i farmaci sono stati approvati dall’ente regolatorio europeo, l’Ema, devono essere poi vagliati a livello nazionale dall’Aifa. E qui, da molti anni, si verificano ritardi e lentezze che speriamo vengano affrontati prima possibile.
Cosa è necessario dunque per migliorare il sistema di assistenza?
Occorre fare in modo che le reti oncologiche siano attive in tutte le regioni. Ma accanto all’organizzazione, e quindi all’esigenza di poter contare su tecnologie adeguate in tutte le regioni, è necessario disporre di personale sanitario che sia particolarmente incline a capire che l’assistenza del paziente oncologico si basa su un binomio: fornire medicine ma anche assistenza per la parte emotiva e spirituale.